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Eventi internazionali

Tennis in Arabia Saudita, ATP e WTA ci pensano: la posizione di Djokovic, Murray e Swiatek

Il possibile approdo del grande tennis in Arabia Saudita fa discutere appassionati e giocatori. Le parole di Murray, Djokovic e Swiatek alla vigilia di Wimbledon. L'entusiasmo di Kyrgios, le critiche di McEnroe

di | 02 luglio 2023

Novak Djokovic durante il media day a Wimbledon (Getty Images)

Novak Djokovic durante il media day a Wimbledon (Getty Images)

Il Public Investment Fund (PIF), il fondo sovrano dell'Arabia Saudita, ha messo gli occhi sul tennis. Dopo gli investmenti nel calcio, con l'arrivo di Cristiano Ronaldo e Benzema nel campionato nazionale in squadre controllate dal fondo, la Formula 1 e il golf, il PIF punta sul tennis per dare sostanza attraverso lo sport al piano "Vision 2030" del principe Mohammed Bin Salman.

Il piano ha l'obiettvo di ridurre la dipendenza dell'economia nazionale dal petrolio, ma secondo molti l'investimento nello sport è solo "sportwashing", ovvero un tentativo di ripulire la reputazione internazionale dell'Arabia Saudita e dello stesso bin Salman, secondo la CIA accusato di aver approvato l'assassinio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi nel 2018.

 

Andare a giocare in Arabia pone interrogativi di tipo etico. E' opportuno spingere il circuito in una nazione che può garantire molti soldi, ma in cui non c'è grande rispetto per i diritti umani, delle donne e delle persone LGBTQ?

"Penso che i presidenti di ATP e WTA possano rispondere meglio di me se sia la giusta mossa strategica per il tennis" ha detto Novak Djokovic in conferenza stampa a Wimbledon. Il serbo, che punta al 24mo major e all'ottavo trionfo ai Championships, ha fatto riferimento a quanto successo nel golf, ovvero al recente accordo fra la LIV Golf, società creata dal fondo PIF, e la Professional Golf Association (PGA). 

"In quanto sport individuale e globale, siamo forse i più vicini al golf - ha detto Djokovic -. Penso che da quell'esempio possiamo imparare molto e cercare di strutturare un accordo appropriato che, se si andasse in quella direzione, permetterebbe di far crescere il circuito e allo stesso tempo di mantenere l'integrità, la tradizione, la storia dello sport".

Realista anche Andy Murray, che si è rifiutato di andare a giocare un'esibizione in Arabia Saudita, la Diriyah Tennis Cup, sponsorizzata dalla compagnia petrolifera saudita Aramco, che nel 2022 ha garantito al vincitore Taylor Fritz un assegno da un milione di dollari. "Se l'Arabia Saudita dovesse organizzare grandi tornei - ha fatto notare lo scozzese in conferenza stampa a Wimbledon -, non andare sarebbe una questione diversa, più difficile. In base a come funzionano il circuito, la classifica, a quanto il torneo è importante per potersi iscrivere ai successivi in calendario. Quando inizi a saltare i grandi appuntamenti sei penalizzato in classifica. E' una cosa a cui devi pensare. Purtroppo sembra questa la direzione in cui sta andando lo sport".

Andy Murray e Novak Djokovic in allenamento a Wimbledon (Getty Images)

TENNIS IN ARABIA SAUDITA, LA POSIZIONE DI ATP E WTA

Anche il presidente dell'ATP Andrea Gaudenzi ha parlato dell'accordo tra LIV Golf e PGA Tour come di un possibile modello per un futuro accordo di collaborazione con il PIF. Gaudenzi ha spiegato che l'ATP ha incontrato rappresentanti del fondo e altri investitori per verificare la possibilità di organizzare tornei in Arabia Saudita. Una prospettiva che coinvolge anche la WTA.

"Non abbiamo preso nessuna decisione né avviato negoziazioni formali. Stanno valutando, come chiunque altro" ha detto il CEO Steve Simon a Londra nel corso di un'evento per il cinquantesimo anniversario della fondazione della WTA. "E' una questione difficile, una sfida - ha detto Simon -. A febbraio sono andato in Arabia Saudita per vedere le cose con i miei occhi. Abbiamo portato anche un paio di giocatrici. Ci sono ancora tantissime questioni, ma i progressi in termini di diritti delle donne stanno iniziando a cambiare le cose. Certo, hanno ancora una lunga strada davanti".

Come ha scritto l'autorevole giornalista USA Jon Wertheim ad aprile su Sports Illustrated, gli intrecci con la WTA sono già presenti: "il direttore di fatto [della Diriyah Tennis Cup] è membro del board della WTA - ha scritto -. E Ari Fleischer, consigliere del CEO Steve Simon, lavora a stretto contatto con i sauditi". 

Steve Simon, CEO WTA

ARABIA SAUDITA, SPORT E VISION 2030

Wertheim ha raccontato il ruolo dello sport in Arabia Saudita e intervistato il principe Abdulaziz bin Turki Al Saud, Ministro per lo Sport, per un servizio nel programma di inchieste della CBS "60 Minutes". Wertheim ha ricordato che gli enormi fondi dei sauditi hanno permesso a Cristiano Ronaldo di arrivare all'Al Nassr con un ingaggio di 200 milioni di dollari a stagione. E dall'anno prossimo il PIF controllerà direttamente quattro squadre del campionato in cui giocherà anche l'ex centravanti del Real Madrid Karim Benzema. Il PIF ha acquistato anche il Newcastle, che gioca nella Premier League inglese, per 438 milioni di dollari. 

Ma non è solo il calcio a interessare il fondo. Secondo un rapporto del 2021 di Grant Liberty, gruppo che si occupa di diritti umani, tra 2017 e 2021 gli investimenti sauditi nello sport raggiungevano il miliardo e mezzo di dollari. Ne fanno parte l'accordo decennale con la WWE per il wrestling, l'espansione nel mondo della Formula 1 attraverso la Aramco che è sponsor del circus e di una delle scuderie, la Aston Martin. Peraltro il PIF è socio di maggioranza anche nella relativa casa automobilistica.

Taylor Fritz mostra il trofeo della Diriyah tennis Cup 2022 in Arabia Saudita (Getty Images)

 

Il più discusso degli investimenti rimane il LIV Tour, il circuito di golf che ha sottratto le star al PGA Tour. L'operazione è costata 2,5 miliardi di dollari. Star come Phil Mickelson e Dustin Johnson, ha sottolineato Wertheim nel suo servizio per "60 Minutes", hanno cambiato bandiera per circa 100 milioni di dollari a testa. A inizio giugno, i due circuiti si sono fusi: una vittoria per i sauditi.

Per il Ministro dello sport, questo massiccio investimento è un pilastro di "Vision 2030", il piano da 7 mila miliardi per diversificare l'economia del Paese e allentare una serie di leggi e convenzioni restrittive. Ad esempio le donne ora possono guidare, tenere la testa scoperta, avere un passaporto, viaggiare da sole senza un uomo. Gli effetti si vedono anche nello sport: Rasha Al Khamis, è la prima coach certificata di pugilato della nazione. Nel tennis si sta affermando la diciottenne Yara Alhogbani che si allena nell'Academy di Rafa Nadal, a Manacor, è già molto richiesta nella moda e punta a diventare un esempio per l'Arabia Saudita.

Yara Alhogbani, fra tennis e moda

Ma ogni forma di dissidenza rimane severamente punita con torture e lunghe pene detentive. L'anno scorso 81 persone sono state impiccate: secondo le informazioni in possesso di Amnesty International, due degli 81 prigionieri erano stati condannati per aver preso parte a proteste violente contro il governo.

KYRGIOS, ALCARAZ E SWIATEK: SI PUO' FARE

Fra i tennisti, Nick Kyrgios si è mostrato tra i più entusiasti sostenitori della prospettiva di andare a giocare in Arabia Saudita. "Finalmente. Saremo pagati quanto meritiamo" ha detto. Anche Carlos Alcaraz ha detto che di sicuro andrà a giocare in Arabia Saudita, se il circuito dovesse farvi tappa. 

Interessante, e significativo, l'ottimismo di Billie Jean King, che ha fondato la WTA e ha trascorso tutta la sua carriera, e in fondo tutta la sua vita, battendosi per l'uguaglianza e per l'allargamento dei diritti nello sport e non solo. "Come possiamo far cambiare le cose se non ci impegniamo, è dura - ha detto -. Sono ottimista, penso sempre il meglio delle persone. Dobbiamo provarci".

Anche per Iga Swiatek, attuale numero 1 del mondo nel ranking WTA, "di sicuro come comunità sento che abbiamo un potere e possiamo usarlo".

Nick Kyrgios in allenamento a Wimbledon (Getty Images)

TENNIS IN ARABIA SAUDITA: IL NO DI EVERT E MCENROE

Chris Evert, 18 volte campionessa Slam e protagonista con Martina Navratilova di una delle rivalità più iconiche dello sport mondiale, non è convinta che andarci sia la scelta giusta. "E' sportwashing, non penso che si dovrebbe andare in Arabia Saudita" ha detto.

John McEnroe, unico uomo al mondo ad aver vinto oltre 70 titoli sia in singolare sia in doppio maschile, è d'accordo. "Non incoraggerei questo cambiamento. Non mi stupisce che il tennis sia coinvolto dopo quello che abbiamo visto nel golf - ha detto parlando a un gruppo di giornalisti -. Vedo molta ipocrisia, sia nella PGA che ha fatto un accordo con LIV Golf che prima aveva combattuto, sia in chi se ne lamenta. I nostri governi, infatti, fanno accordi con loro e con tantissimi altri fondi". 

Il declino dell'impero americano

Di sicuro, questa non è una vicenda che si può interpretare con posizioni manichee, senza tenere in considerazione le sfumature, cancellandone la complessità. Dal punto di vista politico si può affermare che, anche se solo di facciata, il governo saudita sta allentando alcune delle sue leggi più restrittive. Ma si può considerare questo come una versione moderna del "panem et circenses". Dal punto di vista sportivo, come ha sottolineato anche Wertheim, è eccessivamente semplicistico limitarsi da un lato a dire che gli atleti dovrebbero evitare a tutti i costi di andare a giocare in Arabia Saudita, dall'altro che "nessuna nazione è perfetta" o che "gli atleti non sono uomini politici". 

Anche gli sportivi, come tutti gli intrattenitori, danno un messaggio con la loro sola presenza o assenza. Le scelte sono prese di posizione. E per la WTA la scelta di andare o meno in Arabia Saudita è oggi ancora più critica. Perché riguarda i vantaggi economici e i principi morali. E la WTA ha già provato a far valere i principi nel "caso Peng Shuai" e cancellato i tornei in Cina.

Ma dopo sedici mesi ha dovuto ammettere di non aver raggiunto nessuno degli obiettivi prefissati, un contatto diretto con Peng Shuai e l'inchiesta indipendente sulle sue accuse all'ex vice premier Zhang Gaoli di averla costretta a un rapporto sessuale indesiderato. Così ha annunciato che i tornei in Cina da quest'anno torneranno perché, "le giocatrici e gli organizzatori dei tornei stavano pagando un prezzo troppo alto". 

Il più prestigioso restano le WTA Finals a Shenzhen che nel 2019, prima e finora unica edizione giocata lì delle dieci previste dall'accordo firmato nel 2018, ha garantito un montepremi di 14 milioni di dollari. Ovvero quasi il doppio rispetto al montepremi offerto nello stesso anno alle Nitto ATP Finals di Londra. 14 milioni di ragioni considerate sufficientemente valide per rinunciare a una battaglia di principio. Un dilemma destinato a riproporsi al momento di estendere all'Arabia Saudita la geografia del tennis femminile.

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