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Eventi internazionali

Velasco e Dell’Edera: giocar bene, perché, quando e come. E… l’avversario!

Il Simposio agli IBI porta alla ribalta il mitico tecnico della pallavolo e il parallelo più che calzante col tennis e la quindi la scuola maestri. Un tema che dopo gli Internazionali verrà illustrato diffusamente su Supertennis

di | 07 maggio 2023

Che vuol dire giocar bene? Julio Velasco  dà lustro ulteriore al Simposio Internazionale della FITP, organizzato da Michelangelo Dell’Edera direttore dell'Istituto Superiore di Formazione “Roberto Lombardi”, con tennis e padel per la prima volta assieme in occasione degli IBI al Foro Italico di Roma.

Il mitico allenatore della “squadra del secolo” che ha portato l’Italia al vertice mondiale ha elaborato più concetti molto interessanti che proprio Dell’Edera ha “tradotto” nel tennis. 

Ha detto Velasco: “Pallavolo e tennis hanno in comune la palla, grande o piccola che sia, e quindi il rimbalzo e situazioni che non sono mai uguali, con un avversario che crea condizioni di gioco caotiche. Eppure come allenatori ci piacciono o ci sono piaciute troppi allenamenti troppo ordinati. Ma giocar bene che vuol dire? Questa domanda come tante altre domande che sembrano semplici ha una risposta complicata. Per tanti anni nella pallavolo, ma sospetto anche nel tennis, si è messo l’accento sulla tecnica, su tecniche chiuse, sulla falsariga della ginnastica dove la tecnica precisa è l’obiettivo da raggiungere. Ma una volta che ho visto uno schiacciature fermare la palla che gli era stata alzata male in allenamento dall’alzatore chiedendogli di ripeterla dandogliela meglio, in modo ideale, gli ho chiesto: “ma in partita cosa fai se la palla ti arriva male, fermi l’azione e concedi il punto all’avversario?”.

Il problema, il problema importante, è infatti la realtà della partita. “Nella mente dell’atleta non ci può essere solo la tecnica. Anzi, il primo problema è interpretare la situazione e quindi leggerla in modo inconscio, senza la possibilità di pensare come a scuola perché per un pallavolista e un tennista il pensiero classico è troppo lento e il percorso richiesto al cervello non può essere quello tradizionale. Il concetto è quello di riconoscere la situazione in un mini-secondo ed agire di conseguenza. Non basta leggere la traiettoria e l’efficacia di una battuta, il processo è più complesso: bisogna interpretare la specifica situazione.

Quindi, negli anni, l’allenamento si è focalizzato su questo aspetto, perché non è con la tecnica pura che eviti l’errore, perché ci sono vari tipi di errori e perché non si impara con la tecnica, cioé con la teoria ufficiale, e basta. Ci vuole anche quella, certo, ma bisogna fare degli esercizi di allenamento tanto più vicini alla realtà della partita, che ripropongono le situazioni di gioco, senza focalizzarsi soltanto sull’aspetto tecnico. L’atleta deve essere in grado di reagire e di scegliere all’istante. “Per questa situazione che sto fronteggiano qual è la soluzione migliore che posso trovare? Deve possedere una memoria motoria e in più la velocità di esecuzione, dev’essere allenato alla casualità, al caso del gioco, cioé alle difficoltà concrete che si trova a vivere”.

Suggerisce Dell’Edera, a nome del tennis: “Noi abbiamo sintetizzato da anni questi validissimi concetti espressi da Velasco invertendo l’ordine degli aspetti, con tecno-tattici, ma il contrario, modificando l’aspetto metodologico. Quello che usiamo noi è variato nella misura in cui prima si diceva: come, quando e perché, cioé tecnica, tattica e strategia, oggi noi diciamo: perché, quando e come. Capovolgendo letteralmente gli aspetti della metodologia. Perché questa è l’essenza del gioco. Con il fattore tecnica che è il più variabile ed ampia che mai, basta vedere Medvedev. E’ vero, come dice Velasco che gli atleti di alto livello non pensano, sono automatizzati, ma da giovani il processo è lento, captano l’input dell’allenatore, lo elaborano e lo traducono nel gesto motorio più e più volte finché non diventa automatizzato”. 

A quel punto subentra la fase 3: l’esecuzione, la tecnica. “Il modo di eseguire un colpo può essere ideale ma come sappiamo se è sbagliato o giusta nel momento in cui quella tecnica viene eseguita, e se comporta un errore se questo è dovuto a una cattiva esecuzione  perché non ha saputo reagire o non avrebbe comunque saputo reagire, oppure non ha Caputo la velocità o l’effetto della palla. Esistono tante spiegazione dell’errore e ci sono tanti errori diversi. Per evitarlo ci sono gli occhi  e le orecchie per avere la percezione della palla e per capire la situazione che il cervello analizza e trasmette all’apparato motorio per la reazione del corpo. Ecco perché l’allenatore deve insegnare a giocare, il sistema centrale deve sviluppare le giuste risposte fra quello che viene proposto sul campo e quello che bisogna fare. Ma poi c’è la parte emozionale che ci blocca e ci sentiamo stupidi se sbagliamo. Perciò un allenatore deve dire al suo allievo: “Questo ancora non lo fai bene”. Ma non deve usare quell’Ancora in modo sbagliato e dire: “Perché ancora non lo fai?”. Il fisico non è solo star bene, ma vivere la fisica del momento”.

L’allenatore deve mostrare l’errore all’allievo. “Il giocatore sa esattamente quale situazione ha vissuto sul campo e deve dare una indicazione precisa all’allenatore. La comunicazione è a parole, ma l’atleta impara meglio e più velocemente dove e perché ha commesso l’errore se si rivede più ancora che attraverso le altre percezioni come il rumore della palla che sente. L’immagine è sempre più forte delle parole. Per questo, l’esempio è il mezzo principale per riuscire a fare in modo che gli allievi seguano le direttive del coach. E bisogna imparare ad apprezzare l’errore come porta verso la conoscenza. Perciò, nell’esercizio d’allenamento chi insegna deve variare al massimo  il mezzo rispetto al gioco. Ripetere 10 volte lo stesso colpo nella stessa situazione di dritto o di rovescio vale meno che eseguirlo 10 volte in 10 modi differenti, proprio come poi avviene in partita. Il compito primario dell’allenatore è insegnare a giocare”.

Sottolinea Dell’Edera: “Ogni azione è sempre diversa, la memorizzazione del gesto è di riflesso, che ci viene da mamma e papà quando ci concepiscono, è naturale ed unico da soggetto a oggetto,  ed organizza la mente in modo automatizzato e velocissimo. Poi c’è il gesto volontario e c’è quello automatizzato che nasce dal lavoro con l’allenatore, fa elaborare le informazioni e insegna a mettere in pratica il progetto motorio. Perciò deve essere arricchito da più contenuti possibili. Di cui il primo, il fondamentale dell’apprendimento, all’83%, è l’immagine, la visione, mentre il restante 17% viene da dalla percezione acustica e tattile. L’immagine ovviamente deve essere corretta perché l’atleta deve riflettersi. Da cui l’importanza della video analisi”.

Simposium 2023

E poi c’è l’avversario. “E’ elemento decisivo, la variabile che ha ricevuto le stesse informazioni che l’allenatore ha appena fornito al suo allievo. Perciò la differenza spesso fra i due avversari la fa il livello di fiducia che esiste fra allievo e maestro. Ecco perché, quando subiamo un punto - situazione che sia nella pallavolo che nel tennis, succede continuamente -, bisogna valutare se nasce da un errore proprio, da una cattiva valutazione del momento, o da una giocata decisiva dell’avversario, per cui bisogna dirgli bravo e dargli il merito, anche perché se chi batte fa il punto è normale, l’anomalia è se in quella fase il punto lo segna la difesa. Così come l’allenatore deve applaudire la giocata giusta del proprio allievo”.

La materia, estremamente affascinante sarà, trattata ed elaborata prossimamente proprio da Dell’Edera e dai suoi collaboratori in una serie di trasmissioni specifiche che andranno in onda sul canale Supertennis.


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