Lo spagnolo potrebbe, battendo in finale Casper Ruud, prendersi il titolo degli Us Open e la poltrona di numero 1 del mondo. Ma le sue parole invitano alla prudenza. Dall'altra parte, c'è il norvegese in cerca di riscatto: "Mi ha battuto due volte, adesso voglio che sia il mio turno"
10 settembre 2022
Dopo la finale del Roland Garros, per il norvegese Casper Ruud arriva anche quella dello US Open grazie al match vinto contro Karen Khachanov. Troverà lo spagnolo Carlos Alcaraz che lo ha già sconfitto due volte. Una sfida che vale anche la prima posizione mondiale.
CARLOS ALCARAZ
“Penso di aver giocato alla grande contro Frances, che pure ha giocato in modo pazzesco in queste due settimane. È una sensazione incredibile essere in finale e aver vinto questo match di 4 ore e 20 minuti. In questo momento mi sento benissimo, un po' stanco ovvio, ma sono felicissimo. Ho ripensato a un ragazzo che 10 anni fa sognava questo momento, tutto il duro lavoro che faccio ogni giorno sta dando i suoi frutti”.
“Giocare la mia prima finale di un Grande Slam e lottare per il n. 1 del mondo è una cosa che sogno da quando ero bambino. Cosa c’è da aggiungere... Vedo tutto vicino ma so che in verità è tutto ancora lontanissimo. Mi godo questo momento. Quest’anno sono più preparato mentalmente e fisicamente. Sono stati 12 mesi di duro lavoro in palestra e in campo. Ma direi che è tutta una questione mentale. Per esempio, dopo aver fallito il primo match point nel quarto set, ho pensato: ‘Per favore, finisci questo set’ (ride). Perdere quella palla match, in quel modo, facendo un dropshot quando avrei potuto chiudere con un buon diritto: che errore difficile da digerire! Ma sapevo di dover rimanere in partita, stare calmo e continuare come stavo facendo. Ho pensato che il quinto set sarebbe stato un nuovo match. Dovevo solo rimanere lì, fare il mio gioco e crederci perché sapevo di poter battere Frances”.
“Ho giocato contro Casper (Ruud, ndr) due volte e l’ho sempre battuto. Lo conosco molto bene. Abbiamo condiviso molti momenti nei tornei, si tratta di una persona molto gentile anche fuori dal campo. Parlo spesso con lui, quando possiamo. Dovrò dare il meglio di me”.
“Con Juan Carlos (Ferrero, il suo coach, ndr) abbiamo parlato della situazione. Lui ha battuto Agassi in semifinale qui nel 2003 ed è diventato numero 1 del mondo. Mi ha raccontato come si è preparato per quel match. Io farò lo stesso, mi preparerò al meglio. Ma, tutto sommato, non importa per cosa sto lottando, io vado avanti e mi godo il momento”.
Conferenza stampa fiume, invece, per Casper Ruud. Per lui, è un momento magico che prosegue da tempo.
CASPER RUUD
“È stata un'altra partita difficile, a tratti snervante, soprattutto all’inizio. Nel primo set ci siamo breakkati più volte. Fondamentale penso sia stato il lungo scambio vinto sul set point. Quello mi ha dato la fiducia per giocare bene il secondo, anche perché, per lui, è stato difficile riprendersi. Nel terzo set Karen (Khachanov, ndr) ha servito bene. Non riuscivo a rispondere e a far partire lo scambio. Nel quarto parziale, finalmente sono migliorato in risposta ma in definitiva sono molto contento della prestazione e di essere riuscito a riprendermi dopo aver perso il terzo”.
“Tornando a quel lungo scambio di 55 colpi sul set-point, penso che entrambi non volevamo sbagliare sapendo quanto importante fosse quel punto. Se guardiamo alla storia della partita, è curioso notare che molti dei migliori scambi si sono giocati su punti fondamentali. Verso la fine avevo le pulsazioni cardiache altissime e, a un certo punto, le gambe stavano quasi tremando. Sono riuscito a tirare un rovescio lungolinea e a fare il punto. Poi ho alzato le braccia al cielo”.
“Dopo quel punto eravamo entrambi senza fiato. Io sentivo le ginocchia e le gambe tremarmi e l'acido lattico nei quadricipiti, ma ho cercato di non mostrare a Karen la mia stanchezza. All’inizio del secondo set ho cercato di fare del mio meglio per mantenere una buona postura, anche se sentivo ancora le pulsazioni alte dall'ultimo punto. Quando le cose non vanno bene ci sono persone che mostrano i propri stati d’animo più di altre, ma io cerco sempre di mantenere la calma. Anche se a volte sono frustrato, cerco di non mostrarlo ai miei avversari perché penso che possano ottenere un piccolo vantaggio da questo. Lo sport è anche recitazione. Soprattutto il tennis. È un gioco così mentale e psicologico che ogni piccolo dettaglio può aiutarti a vincere la partita”.
“Al Roland Garros, nella finale persa, ho preso una bella batosta. Mi sono detto che se mai ne avessi raggiunta un'altra, avrei dovuto sperare non ci fosse Rafa di fronte a me, soprattutto sulla terra rossa perché batterlo lì è un’impresa impossibile. Domenica c’è la finale, so cosa mi aspetta quando entrerò in campo e mi auguro di essere preparato. Ci sarà la coppa sul fondo del campo e vedrò decine di celebrità in tribuna… ma anche sugli spalti a Parigi c'erano famiglie importanti. È stata un'esperienza nuova per me ma ora non lo è più”.
“L’anno scorso negli Slam ho un po’ deluso. Ho vinto cinque tornei e fatto molti punti, salendo parecchio in classifica ma nei Major non sono riuscito a fare bene come speravo. L’obiettivo per quest’anno era quello di cercare di raggiungere almeno un quarto di finale durante l’anno. In Australia non ho potuto giocare per un infortunio che ho subito prima dell’inizio del torneo. Una grande delusione: volare per oltre 40 ore avanti e indietro per l’Australia dalla Norvegia e non giocare nemmeno un punto... Ma mi sono rifatto con gli interessi all’Open di Francia, che mi ha dato fiducia e autostima per poter andare avanti anche negli Slam. Ho imparato anche a giocare al meglio dei 5 set”.
“Se si riesce a incutere un po’ di timore o di rispetto all'avversario prima di scendere in campo o durante un match, questo ovviamente aiuta. È come quando si gioca contro Rafa sulla terra battuta: la maggior parte dei giocatori ha già perso la partita prima di scendere in campo perché sa che è quasi impossibile batterlo. Se posso avere un piccolo vantaggio da questo aspetto mentale ovviamente me lo prendo. Io almeno la vedo così. Esempio: se gioco contro qualcuno come Medvedev o Zverev, conosco i loro risultati sul cemento e li rispetto. Quest'anno, dopo Indian Wells - dove ho perso al terzo turno contro Kyrgios - sentivo di non aver giocato bene e mi sembrava molto lontana l’eventualità di una finale sul cemento. Ma poi è arrivato il torneo di Miami, dove sentivo la palla molto meglio. Raggiungere quella finale mi ha aiutato molto e ha fatto crescere le mie quotazioni nei confronti dei colleghi. Ogni volta che guarderanno i miei risultati - ho pensato - vedranno che ho raggiunto la finale di un Atp 1000 sul cemento”.
“Ovunque vada, rappresento la Norvegia ogni volta che gioco, nell'ATP Tour, nei Grandi Slam, perché la bandiera norvegese è sempre davanti al mio nome. Haaland? È in forma strepitosa da quando è andato al Manchester City, sta avendo una stagione incredibile e speriamo tutti che continui così. È una gioia vederlo segnare gol su gol. È lui, ovviamente, la stella più grande che abbiamo in Norvegia e probabilmente lo sarà ancora per molti anni. Io resto concentrato solo sulla mia carriera e spero di poter vincere altri tornei”.
“Ho giocato a tennis fin da quando ho memoria, perché mio padre scendeva in campo con me per divertimento ed è sempre stato una parte importante della mia vita. Quando, da ragazzo, ho visto Rafa e Roger in televisione mi sono detto che un giorno volevo andare in TV anch'io. Mi è rimasto dentro quel sentimento: 'un giorno vorrei provare a diventare il numero 1 del mondo e vincere i Grandi Slam'. Questa motivazione interiore, sapendo che la strada è molto, molto lunga, mi ha accompagnato ogni giorno, mi ha aiutato a essere serio e ad avere la giusta mentalità. La chiave di tutto è qui. In Norvegia mi ha aiutato anche un mental coach che mi ha insegnato fin da giovane che non è necessariamente in campo che si combatte, ma piuttosto nella vita. Se fai le cose giuste ogni giorno per settimane e mesi, diventi un po' più bravo degli altri avversari. Ogni piccola scelta che va nella giusta direzione, alla fine permette di ottenere un grande divario”.
“Se voglio battere Carlos, dovrò giocare in modo preciso con tutti i miei colpi, soprattutto cercando di tenerlo lontano dal campo. Dovrò avere una buona profondità di palla. Se ti entra in campo, può fare qualsiasi cosa, tirare un vincente così come una palla corta. Penso che abbia uno dei migliori dropshot del tour. Ti prende alla sprovvista spesso, ma se si gioca con una buona lunghezza, è più difficile colpire un drop. Cercherò di concentrarmi su questo aspetto. Sarà un match molto nervoso perché ci giochiamo il torneo e il numero 1 del mondo, ma sarà così per entrambi. Mi ha battuto un paio di volte e cercherò di vendicarmi”.

Alcaraz e Ruud, la sfida finale