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Torna la Coppa Davis: sarà un altro affare europeo?

Nel circuito maschile l’Europa sta imponendo un dominio senza precedenti: la top-10 è tutta europea, la Laver Cup ha parlato chiaro e dal 2004 solo due Slam sono finiti a giocatori extra europei. Difficilmente sarà la prossima Coppa Davis a invertire la tendenza, con Russia e Italia come due principali favorite per l’Insalatiera

07 ottobre 2021

Ormai ci siamo. Fra meno di un mese l’Italia diventerà il centro mondiale della racchetta, con tre settimane di tennis da favola. Prima le Next Gen ATP Finals a Milano, poi la prima a Torino delle Nitto ATP Finals, e quindi, la settimana successiva e sempre all’ombra della Mole, le Davis Cup Finals, che tornano in pista dopo la cancellazione del 2020 con la bella novità di una prima fase preliminare divisa su tre città, che andrà ad aggiungere ulteriore pepe all’evento.

Fra le sedi (insieme a Madrid e Innsbruck) c’è appunto anche Torino e il Pala Alpitour, che da giovedì 25 a lunedì 29 novembre sarà la casa di due dei sei gironi della competizione per nazioni, e poi del successivo quarto di finale fra le due vincenti dei gruppi. In gara, naturalmente, anche l’Italia, che giocherà nel Gruppo E insieme a Stati Uniti e Colombia, e in virtù dei risultati recenti dei nostri tennisti è una delle favorite per vincere l’Insalatiera, arrivata nel Belpaese solo nel 1976 dopo la storica finale di Santiago del Cile conquistata da Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli.

Il Team Europe ha vinto tutte le quattro edizioni della Laver Cup

Dando uno sguardo alla lista delle 18 partecipanti alle Finals di quest’anno, è impossibile non notare come i due terzi delle nazioni (dodici) siano europee, il che rappresenta l’ennesima conferma del dominio del vecchio continente nel mondo della racchetta, almeno a livello maschile. Un trend che si rafforza a ogni occasione utile: si è visto nella Laver Cup dominata dal Team Europe in casa degli USA; è evidentissimo in una top-10 ATP formata da soli giocatori europei, e ancora di più nella lista dei vincitori dei tornei del Grande Slam, dove gli extra europei sono praticamente spariti dopo aver primeggiato per anni e anni.

Il momento di svolta coincide con l’inizio dell’era di Roger Federer, poi accompagnato da Rafael Nadal e Novak Djokovic. Nei dieci anni che vanno dal 1994 al 2003 (compresi), 26 dei 40 Slam giocati finirono fra Stati Uniti, Australia e Brasile, mentre dei 71 Major disputati nei 18 anni successivi (tutti fino all’ultimo Us Open) ne ha vinti solamente due l’Argentina, con Gaston Gaudio nel 2004 e con Juan Martin Del Potro nel 2009, ormai dodici anni fa. Il resto è stato affare europeo.

L’avvento dei Big Three che hanno monopolizzato il Tour ha sicuramente inciso, ma se non c’è nemmeno un giocatore extra europeo nei primi 10 e sono pochi nella top-50 vuol dire che il problema è più ampio. L’ultimo vero big prodotto dagli Stati Uniti è stato Andy Roddick, che nel 2022 festeggerà i dieci anni dall’addio al tennis, in Australia va anche peggio e l’intero Sudamerica – che poteva avere Del Potro, ma è andata come è andata – non se la ride di certo.

Lo Us Open 2009 di Juan Martin Del Potro: l'ultimo Slam di un giocatore extra europeo

L’avvento dei Big Three ha avuto un’influenza importantissima sullo sviluppo del tennis europeo, ma le ragioni sono numerose. Dà sicuramente una mano la presenza della Russia, che di europeo ha poco (tanto che qualcuno ha suggerito che i russi possano giocare la Laver Cup nel Team World) ma fa numero, e solo negli ultimi due anni ha prodotto tre top-10 e un campione come Daniil Medvedev, che ha appena vinto il suo primo Slam ma ne aggiungerà altri alla collezione.

Un altro aspetto importante è relativo alle superfici: un tempo tanti dei giocatori europei legavano buona parte dei loro successi alla terra battuta come i sudamericani, mentre statunitensi e australiani vincevano soprattutto sulle superfici rapide. Oggi, invece, gli europei sono i più forti dappertutto, mentre americani e australiani sono rimasti prevalentemente giocatori da cemento, e gli argentini da campi lenti. Una mancata evoluzione di gioco, ma anche di pensiero, organizzazione e impianti che costa carissima.

Matteo Berrettini è uno dei quattro attuali top-10 che parteciperà alle Davis Cup Finals

Con queste premesse, pur tenendo d’occhio la crescita del Canada che riparte dalla finale del 2019 e ha in Shapovalov e Auger-Aliassime due diamanti, è difficile pensare che le prossime Davis Cup Finals possano invertire la tendenza delle ultime 12 edizioni, nelle quali solamente una volta (Argentina nel 2016) a conquistare l’Insalatiera d’argento è stata una nazione extra europea. Ranking ATP alla mano, la favorita per il titolo sembra la Russia di Medvedev e Rublev, finita in un girone di ferro con la Spagna campionessa in carica, che però senza Rafael Nadal fa paura fino a un certo punto. Al momento sarebbe l’unica nazione con due top-10, il che la colloca un gradino sopra le altre.

Ma lì molto vicino c’è la nostra Italia, che avrà anche il vantaggio di poter giocare in casa gli incontri del Gruppo E (contro Usa e Colombia) e quindi l’eventuale quarto di finale, contro la vincente del Gruppo D che annovera Croazia, Australia e Ungheria. Con Berrettini top-10 e Sinner lì a un passo, una superficie che va a genio a entrambi e il calore del pubblico, gli azzurri hanno chance importantissime di andare fino in fondo. E stanno già ragionando in ottica Davis, come dimostra la scelta di Matteo e Jannik di giocare il doppio insieme al Masters 1000 di Indian Wells.

Stiamo facendo delle prove per individuare il binomio migliore – ha detto dal Challenger di Napoli il nuovo capitano Filippo Volandri –, e siamo pronti a giocarci le nostre chance. Sinner farà il suo esordio in nazionale ed è molto entusiasta, senza dimenticare Fabio Fognini, che tiene molto alla Davis e rimane il leader di questo gruppo”.

Fra le candidate al successo c’è naturalmente anche la Serbia di Novak Djokovic, che però potrebbe pagare l’assenza di un secondo singolarista di altissimo livello. “Nole” – se ci sarà: non è scontato – dovrà fare affidamento su Filip Krajinovic o Dusan Lajovic, due ottimi giocatori ma che non offrono particolari garanzie. Assenti tutti gli altri top-10: chi per infortunio, chi per scelta personale (Zverev) e chi perché la propria nazione non ci sarà (Tsitsipas e Ruud). Un ulteriore motivo per credere nelle possibilità degli azzurri, in un’annata che all’Italia ha già regalato soddisfazioni enormi.

Usa, dal dominio alle retrovie (con qualche speranza)

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