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Eventi internazionali

Ritschard e Shelbayh come Pecotic e Arneodo: i senza nome raccontano storie fantastiche

Dopo il croato a Delray Beach e il monegasco nel Principato, questa settimana i protagonisti sono uno svizzero e un giordano. E le stelle stanno a guardare…

di | 20 aprile 2023

I primi messi dell’anno ci hanno raccontato storie alternative piene di significati. A Delray Beach è rispuntato fuori Matija Pecotic, il croato che, a 33 anni, ha fatto una scappata per riabbracciare il vecchio amore e si è riscoperto competitivo con la racchetta malgrado la vita l’abbia trascinato a lavorare nella finanza. A Montecarlo, il francese naturalizzato monegasco, Romain Arneodo, che a 30 anni, è rientrato dal ritiro del 2016, ha raccontato la sua favola arrivando in finale di doppio, scatenando il tifo del Principe Alberto II di Monaco come primo finalista di casa del torneo. Nei 250 di Monaco e Banja Luka di questa settimana i senza nome che rubano per qualche ora le luci della ribalta alle super star sono Alexander Ritschard e Abdullah Shelbayh.

IL VECCHIO SOGNO DI RITSCHARD

A 16 anni, nel settembre 2010,  lo svizzero Ritschard conquistava già i primi punti ATP, ma solo il 28 giugno scorso è entrato nei top 200, e ad agosto ha toccato la classifica record di 170. Eppure, a 29 anni, è contento così perché, anche se si esprime a livello Challenger con qualche scappata alla ribalta ATP, transitando per le qualificazioni come in questi giorni a Monaco, è già felice di poter giocare ancora a tennis perché può ancora utilizzare il braccio che temeva gli venisse amputato a 22 anni. Quando ha abbandonato lo sport di vertice dedicandosi a studiare arte alla University of Virginia.

IL RACCONTO DEL DRAMMA

Certe esperienze restano indimenticabili. “Mi stavo allenando in palestra quando ho sentito come una puntura alla spalla, ho pensato di essermi strappato un muscolo, invece è venuto fuori che l’arteria si era intasata e non c'era più flusso sanguigno al braccio. Così ho passato due mesi davvero folli. Non ero sicuro che avrei potuto più giocare a tennis perché avevo uno stent nell’arteria principale perché il sangue fluisse regolarmente e, doppio l’operazione, non potevo allenarmi per più di 90 minuti. Davvero troppo poco per pensare di tornare ad essere un tennista professionista. Peggio: riuscivo a malapena ad alzare completamente il braccio ed è venuta fuori l’ipotesi peggiore, di amputare l’arto per aiutare il corpo a svolgere le sue corrette funzioni e non mettermi in pericolo di vita”.

Quei momenti post operatori per il povero Ritschard sono ancora vividi nei suoi occhi: gli venne segnalato che, se il sangue non fosse tornato a correre regolarmente nei successivi 5 minuti, i medici sarebbero dovuti ricorrere all’amputazione dell’arto. “Sono stato fortunato, la vena s’è riaperta regolarmente e il sangue ha ricominciato a fluire come prima”.

Ma non era finita lì. Il tennista ha dovuto subire altre tre interventi chirurgici e poi una lunga rieducazione, e quindi una ancor più lunga ripresa agonistica, transitando per tre titoli NCAA consecutivi vinti con l’università statunitense dove studiava (2015-17), passando per il doppio, con Thai-Son Kwiatkowski,  col quale nel 2017 ha firmato una stagione-rcord con 25 vittorie ed una sola sconfitta.

“Subito dopo l’esperienza al college ho pensato ovviamente al ritiro, dicevo ai miei genitori: 'Così non ha senso, non posso allenarmi abbastanza per il tennis di vertice, lascio, mollo tutto'. Ma poi ci sono rimasto. Mi sembrava di arrendermi troppo in fretta dopo aver investito tutta la mia vita in questo sogno”.

RINASCITA

Così, l’anno scorso ha vinto il primo Challenger ad Amburgo, si è qualificato a Wimbledon e agli US Open strappando un set in tabellone sia a Tsitsipas che ad Aliassime e, a settembre, ha pure firmato il primo successo in coppa Davis.

Grazie all’apporto del coach/motivatore, Juan Ramirez, che gli ha anche organizzato la vita in modo più organico: “In realtà penso di aver perso anch’io del tempo nel gestirmi fuori dal campo, ho cominciato a fare le cose giuste e a vivere da vero professionista soltanto un paio d’anni fa”. Con la distrazione extra del disc jockey, un hobby che l’ha attirato sempre di più dal ritiro del 2015.

DESTINO

Tutt’altra storia è quella del 19enne giordano Abedallah Shelbayh, allievo della Academy di Nadal a Maiorca, che, da 267 del mondo, dopo aver passato le qualificazioni, è appena a entrato nella storia aggiudicandosi a Banja Luka il primo match ATP di un tennista del suo paese contro lo svedese Elias Ymer. La sua è un’impresa nell’impresa e racconta anche delle difficoltà che devono affrontare i giocatori over 100 della classifica mondiale, difficoltà lontane anni luce da quelle dei ricchi e famosi del circuito pro di cui sappiamo praticamente tutto. 

Il ragazzo di Amman, reduce in questi primi mesi dell’anno di una finale ITF e di una finale Challenger, si stava allenando a Barcellona quando ha deciso di iscriversi alle qualificazioni dell’ATP 500 della città catalana. Ma quando ha saputo che era il primo escluso dalla lista delle qualificazioni nel torneo 250, in Bosnia, è volato in fretta nel torneo della famiglia Djokovic.

Ci è arrivato quasi al buio, senza provare il campo e le condizioni, prima del debutto. Ma questo non gli ha impedito di raggiungere il tabellone principale e poi di regalare al suoi paese un successo storico dopo anni di sacrifici e di difficoltà in un paese senza tradizioni e senza aiuti finanzi importanti. Che però gli ha regalato un pass per la scuola di Toni Nadal e quindi una chiave, passando per il duro lavoro, per continuare a cullare il suo sogno.

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