

In occasione del centenario dell’Italia in Coppa Davis ripercorriamo, con cadenza settimanale, tutti i giovedì fino all’8 settembre, la storia del tennis nostrano attraverso i grandi eventi del tennis azzurro e i personaggi cardine delle varie epoche, che hanno caratterizzato anche le squadre nella massima competizione mondiale per nazioni del nostro sport
di Vincenzo Martucci | 01 settembre 2022
Le finali azzurre di Coppa Davis del 1976 e del 1998 si sono chiuse tutt’e due nel silenzio, ma almeno quella di Santiago del Cile, dopo le polemiche politiche prima e dopo le partite sull’opportunità o meno di dar visibilità al regime del dittatore Pinochet, s’è conclusa con uno storico trionfo, invece quella di Milano è terminata malissimo, prima ancora del primo singolare. Vanificando l’enorme euforia che, sull’onda della trasferta vittoriosa di Milwaukee contro Todd Martin e compagni, aveva pervaso l’ambiente dopo tanti anni di delusioni e di profilo basso.
La prima macchia era arrivata dalle polemiche dei giocatori che avevano bussato a quattrini con la Federazione inondando i media con le consuete sensazioni malevole di un mondo viziato, incostante e perdente. La seconda era stata causata dal terribile infortunio che aveva spezzato la spalla già sinistrata di Andrea Gaudenzi, numero 1 e leader carismatico della nazionale, annullando di botto le speranze dell’Italia contro la Svezia al Forum di Assago riempito di terra rossa.
Il match d’apertura fra Gaudenzi e Magnus Norman era doppiamente importante, anche sotto il profilo psicologico, per dar coraggio al secondo singolarista, Sanguinetti e caricare lo specialista del doppio, Diego Nargiso. Pur di giocare la finale e di non tradire il gruppo - il magnifico gruppo che il capitano Paolo Bertolucci aveva rafforzato -, Andrea s’era operato solo in artroscopia alla spalla per poter riprendere in tempo, pur sapendo di rimandare soltanto l’operazione al famigerato tendine martoriato dal suo tennis, fatto di insistenti e potenti palleggi da fondo.
Così, è andato in campo imbottito di antidolorifici, col chirurgo a bordo campo. Ahilui, contro un avversario che avrebbe vinto Roma e sarebbe andato in finale al Roland Garros sempre contro il fenomeno Guga Kuerten, il numero 1 azzurro era convinto di poter vincere. Ma è stato costretto ad allungare da subito la contesa contro un maratoneta come Norman, ha vinto il primo set solo per 11-9 al tie-break, ha ceduto il secondo, crollando al tie-break, ha strappato d’orgoglio il terzo, ma perso il quarto e, sempre più sofferente, debole e disperato, è arrivato in qualche modo al tie-break del quinto set, dopo un’altra rimonta da 0-4, per decidere la partita.
Anche grazie alla spinta del pubblico. Ma nel tirare al massimo il servizio che valeva il 6-5, il tendine si è spezzato con un rumore sordo - “un clack”, dirà poi Andrea in lacrime -, e il braccio destro è rimasto penzoloni, inerte, permettendo il facile 6-6 dell’avversario.
Andrea è tornato in campo su insistenza del capitano: “Provaci, se proprio non ce la fai ti ritiri”. Ma non riusciva più a muovere il braccio e, dopo due “15” senza poter più offrire resistenza, s’è arreso: è andato a rete, ha stretto la mano all’avversario, l’ha abbracciato ed ha abbandonato. Fra lo scoramento dei 10mila di Milano.
Italia-Svezia è finita lì. Sanguinetti non ha mai creduto di poter battere Gustafsson e s’è inabissato in tre set, come il sabato nel doppio accanto a Nargiso contro Bjorkman-Kulti che ha sancito il 3-0 per gli ospiti. Poi gli inutili singolari di Pozzi (perso con Gustafson) e Nargiso (vinto con Norman).
La bella squadra di due semifinali e una finale si salvò a malapena nel 1999, retrocesse per la prima volta in serie B nel 2000 e poi scivolò addirittura in serie C. Vent’anni dopo è proprio aria di Rinascimento davanti a quelle disavventure, nel segno anche di Andrea Gaudenzi, oggi presidente dell’ATP Tour.
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