Jennifer la statunitense non è certo favorita contro Naomi la giapponese (meglio: nippo-americana) nella finale degli Australian Open a Melbourne. Ma sognare non costa nulla e l’ultimo precedente lascia spazio a qualche speranza, almeno di potersela giocare fino in fondo
di Tiziana Tricarico | 19 febbraio 2021
“Senza dubbio una delle mie vittorie più memorabili”. Giusto per aggiungere pressione a pressione ci manca soltanto che la tua blasonatissima avversaria ti ricordi che le hai reso la vita veramente difficile l’ultima volta che vi siete incontrate. Del resto ci si aggrappa a tutto nella speranza che la finale femminile degli Australian Open, primo Slam del 2021, in programma sabato sul cemento di Melbourne Park non sia una storia già scritta.
La conferma e la rivelazione. Saranno infatti Naomi Osaka, n.3 WTA e terza testa di serie, e Jennifer Brady, n.24 del ranking e 22 del seeding, a contendersi il trofeo: nel bilancio dei precedenti la giapponese è in vantaggio per 2-1 e si è aggiudicata proprio le ultime due sfide, al primo turno di Charleston nel 2018 ed in semifinale agli Us Open dello scorso anno (in tre set lottati). L’unico successo della 25enne di Harrisburg è datato 2014, al primo turno di un ITF a New Braunfels. Naomi è rimasta in campo 7 ore e 43 minuti: Jennifer 7 ore 3 58 minuti.
Per Naomi sarà la quarta finale in un Major, la seconda nell’”Happy Slam”: nelle tre precedenti - Us Open 2018, Australian Open 2019 e Us Open 2020 - ha sempre finito poi per portarsi a casa il trofeo….
Se farà centro anche stavolta la 23enne nipponica di Osaka - la tennista e l’atleta donna più pagata al mondo secondo la rivista Forbes - risalirà in seconda posizione scavalcando la Halep ma lo scettro mondiale, che aveva agguantato per la prima volta due anni fa proprio dopo il trionfo a Melbourne, rimarrà comunque saldamente nelle mani di Barty.
Nel suo percorso verso la finale Osaka ha perso in tutto 39 game e un set soltanto, negli ottavi contro la spagnola Garbiñe Muguruza, n.14 del ranking e del seeding, alla quale ha annullato anche due match-point di fila sotto 5-3 nel set decisivo.
Nell’Era Open solo 6 giocatrici (in 7 occasioni) sono riuscite a conquistare il trofeo dell’Aus Open dopo essere state ad un passo dalla sconfitta: Seles (1991), Capriati (2002), Serena Williams (2003 e 2005), Li Na (2014), Kerber (2016) e Wozniacki (2018).
Per il resto del torneo nessun problema o quasi per la giocatrice allenata da Wim Fissette contro Plavlyuchenkova, Garcia, Jabeur, Hsieh e contro Serena Williams nella semifinale tra regine, con l’americana già sette volte vincitrice a Melbourne costretta a rimandare ancora una volta - tra sorrisi in campo e lacrime in conferenza stampa - l’aggancio al record Slam (24) di Margaret Court.
Per Naomi - che ha iniziato la stagione con la semifinale nel “Gippsland Trophy” su questi stessi campi (forfait “precauzionale” contro Mertens) proprio alla vigilia dello Slam - quella di Melbourne sarà la decima sfida per il titolo in carriera: 6 i trofei già messi in bacheca, l’ultimo dei quali lo ha conquistato agli Us Open dello scorso anno.
“Credo che la mia prossima avversaria, chiunque sia, sarà comunque tesa, io alla mia prima finale Slam lo ero…”, ha detto a caldo dopo il successo sulla Williams. Se non è “terrorismo psicologico” questo…
Oltretutto ha già dovuto fare i conti con l’ansia da prestazione Jennifer, alla sua prima finale Major in carriera. Quando nell’ultimo game della “semi” contro la ceca Muchova - altra rivelazione di questo Slam più Crazy che Happy - ha rischiato di rimettere in corsa la sua avversaria sbagliando tutto quello che era possibile e anche di più prima di riuscire a chiudere al quinto match-point.
“Le mie gambe continuano a tremare ed il mio cuore sta battendo fortissimo”, ha poi confessato a caldo l’americana che, prima di buttarsi anima e corpo nel tour maggiore, ha frequentato la University of California vincendo anche un titolo NCAA (2014).
Tutti le avevano sempre detto che aveva il tennis per essere una top-player, adesso comincia a crederci sul serio anche lei, 25enne di Harrisburg, Pennsilvanya, esplosa agli Us Open dello scorso settembre (fermata nella sua prima semifinale Slam proprio da Osaka, poi vincitrice del titolo), che a Melbourne aveva raggiunto gli ottavi alla sua prima partecipazione, nel 2017 (partendo dalle qualificazioni), ma che nelle ultime due era sempre uscita di scena all’esordio.
In ogni caso Jennifer è già sicura di ritoccare e di parecchio il best ranking: da n.24 è già virtualmente n.13: sarà 12esima in caso di conquista del trofeo, diventando al tempo stesso la campionessa - la 55esima dell’Era Open - con la classifica più bassa da quando Serena vinse il titolo nel 2007 (la Williams era n.81).
Nella sua marcia verso l’ultimo atto degli Aus Open la statunitense, seguita dal coach tedesco Michael Geserer, ha lasciato le briciole alle sue avversarie (40 giochi) perdendo appena due set: uno con l’amica e connazionale Pegula (n.61 WTA) nei quarti, e l’altro - come detto - con la ceca Muchova (n.27 WTA e 25esima testa di serie) in semifinale.
Per lei è solo la seconda finale in carriera dopo quella vinta a Lexington lo scorso agosto, alla ripresa del tour dopo il lock-down per la pandemia da Covid-19.
Brady è la settima giocatrice a debuttare in una finale Slam negli ultimi nove Major che si sono disputati: prima di lei ci sono riuscite Osaka (Us Open 2018, quando vinse il titolo), Barty (Roland Garros 2019, quando vinse il titolo), Vondrousova (Roland Garros 2019), Andreescu (US Open 2019, con conquista del trofeo), Kenin (Australian Open 220, con conquista del trofeo) e Swiatek (Roland Garros 2020, con conquista del trofeo). Considerando che cinque di loro hanno poi fatto centro pieno, sognare davvero non costa nulla.