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Eventi internazionali

Le 10 cose che resteranno degli Internazionali BNL d'Italia 2020

Momenti, situazioni, partite, protagonisti che hanno lasciato il segno in questa strana e irripetibile edizione del torneo

di | 21 settembre 2020

Simona Halep con il trofeo e la mascherina

Simona Halep con il trofeo e la mascherina

Il Campo Centrale del Foro Italico

1) Le porte chiuse – Un’edizione così non si era mai vista, dicevamo. Stadi fantasma, il Parco del Foro Italico deserto, animato solo dai giocatori con i loro coach e dagli addetti all’organizzazione. Qualche gabbiano. Provando ad affacciarsi alle tribune del campo centrale, 10.500 posti inutilizzati, durante una partita delle prime giornate, si poteva sentire, oltre allo schiocco degli impatti di palla, anche il derapare delle suole (scolpite a spina di pesce) sul mattone tritato. Impressionante.

Nello stesso fine settimana in cui si giocavano le qualificazioni degli IBI20,  a Misano si correva il Motomondiale, con il pubblico contingentato. E a Bologna gli spettatori erano ammessi anche per il basket. Giustamente il presidente della Fit Angelo Binaghi aveva definito “Un’ingiustizia” e “Una vergogna” la decisione della Regione Lazio di non autorizzare nemmeno i 1.000 spettatori al giorno previsti come limite per le manifestazioni all’aperto, anche minori. Al Foro Italico si giocava in sicurezza, dentro una 'bolla' controllata dai medici del Gemelli. Sarebbe stato tutto pronto per avere pubblico, sia pur contingentato, almeno sui tre stadi: Centrale (10.500 spettatori), Grand Stand (5000), Pietrangeli (3.700). Invece niente. Fino ai quarti di finale compresi, Viale delle Olimpiadi è Desolation Row.

Panoramica sul Centrale di Roma con 1000 spettatori per la finale

 2) Le porte aperte – Con un provvedimento del Ministro dello Sport Spadafora, arrivato in corso d’opera ma sempre benvenuto, per il sabato delle semifinali il Campo Centrale viene aperto al pubblico. Una svolta che consente di accogliere 1.000 spettatori per ogni sessione di gioco. Un’opportunità che non ha un gran valore economico: pur vendendo i biglietti gli organizzatori alla fine ci rimettono a causa dei costi aggiuntivi necessari per i vari adempimenti e allestimenti, necessari a far entrare gli spettatori in sicurezza. Però domenica arriva il primo vero applauso: un’emozione. A beneficiarne Novak Djokovic, che doma il norvegese Ruud e può finalmente rivolgere a qualcuno quel gesto rituale di lanciare il proprio cuore verso gli spalti che aveva ripetuto dopo ogni vittoria anche a spalti deserti, come una provocazione agli dei. O alla Regione Lazio. Non a caso, dopo la partita, ai microfoni di SuperTennis, ringrazia la FIT per l’impegno e la qualità dell’organizzazione. Dopo l’incidente dell’Adria Cup, la positività al Covid-19, la squalifica di New York, quella davanti ai 1.000 plaudenti del Foro Italico era la sua prima bella giornata di tennis dopo mesi di astinenza.

Lorenzo Musetti

3) Musetti che dà 6-0 a Wawrinka – Era un Lorenzo Musetti 'versione lusso' quello che era riuscito a qualificarsi per il tabellone principale degli Internazionali BNL d’Italia. Il diciottenne di Carrara, n.249 del mondo, aveva potuto accedere al torneo solo grazie a una wild card.

L’aveva onorata superando prima lo spagnolo Zapata Miralles , n.144 del mondo, poi l’argentino Leonardo Mayer, n.123 oggi ma già n.21. Il turno decisivo gli opponeva l’amico e coetaneo Giulio Zeppieri, altra fresca forza azzurra, wild card pure lui, e a sua volta tagliatore di teste più coronate della sua (l’inglese Cameron Norrie, n.68; il colombiano Hugo Dellien, n.103). Ne usciva una bella partita che Musetti risolveva a suo favore in tre set.

A questo punto il suo dovere l’aveva fatto e il sorteggio che lo opponeva subito a Stan Wawrinka, n.17 del mondo ma ex. n.3, pareva avergli allestito una bella occasione di fare passerella ed esperienza insieme prima di salutare e tornare a fare esperienza nei tornei challenger.

Invece sotto le stelle di Roma “Lorenzo Il magnifico” si è regalato una notte magica, non solo battendo Wawrinka ma rifilandogli addirittura un rotondo 6-0 nel primo, perfetto, set. Una vittoria dentro la quale c’era tutto il repertorio che fa di Musetti il più brillante talento mondiale tra i nati nel 2002: gran servizio, diritto penetrante, rovescio a una mano spettacolare, smorzata morbidissima e sicura.

Lo ha sciorinato tutto in quel 6-0. E l’ha riproposto il giorno dopo contro un altro pezzo grosso, il giapponese Kei Nishikori, n.35 oggi, n.4 nel marzo 2015.

Due vittorie capolavoro per nulla ridimensionate dalla sconfitta negli ottavi contro il granitico tedesco Koepfer, forgiato nelle palestre dei college USA. Musetti è arrivato a Roma da n.249 ma ha fatto capire che è di un’altra categoria.

4) Sinner che batte Tsitsipas – Per la prima volta da quando è esploso, lo scorso anno con l’ingresso nei top 100 e la vittoria alle Next gen Atp Finals, Jannik Sinner non ha avuto tutti i riflettori addosso quale “supergiovane” del torneo.

La sua netta vittoria al primo turno contro il polemico francese Benoit Paire, n.24 del mondo (Sinner è n.81…) è stata oscurata dell’impresa di Musetti, un anno più giovane di lui, contro Wawrinka. Per ritrovare i riflettori, al rosso talento altoatesino serviva un colpo grosso e Jannik non si è fatto pregare.

Sul campo Pietrangeli deserto ma benaugurante ha battuto, lottando tre set, Stefanos Tsitsipas, n.6 del mondo e vincitore delle ultime Atp Finals. Come a dire ai primi del ranking: ehi voi, lassù, tenetemi un posto che tra poco arrivo. Anche per Jannik la successiva sconfitta contro Grigor Dimitrov, n.22, arrivata al termine di tre set tiratissimi, è una conferma più che uno stop. Il livello di gioco è già da top 30.

Matteo Berrettini

5) Il derby Berrettini-Travaglia – Ormai ci siamo talmente abituati a vederlo protagonista sui palcoscenici più grandi che un quarto di finale di Matteo Berrettini agli Internazionali BNL d’Italia sembra 'niente di che', normale routine.

Certo, se sei n.8 del mondo, vai in semifinale agli Us Open e ti qualifichi per le Atp Finals da te ci si può aspettare di tutto. Però un italiano a questo livello nel torneo negli ultimi 20 anni si era visto solo 4 volte: Volandri nel 2003 e 2007, Seppi nel 2012 e Fognini nel 2018.

La partita che gli è sfuggita di un soffio contro Casper Ruud e la fatica che poi ha fatto Djokovic per avere ragione del norvegese, la dicono tutta sulla sua prestazione e soprattutto certificano il valore della vittoria nel derby negli ottavi con Stefano Travaglia.

Una partita ad alta tensione, nella quale il marchigiano, n.84 del mondo e dunque ben lontano dalle alte sfere nelle quali si muove Berrettini, ha confermato la grande condizione mostrata nei primi due turni nei quali aveva battuto prima lo statunitense Taylor Fritz, n.28 del mondo, poi il croato Borna Coric, n.26. Il lavoro con il coach Simone Vagnozzi sta dando ottimi frutti.

Vika Azarenka soccorre Daria Kasatkina

 6)Azarenka che soccorre Kasatkina - ‘Vika’ Azarenka arrivava a Roma come la tennista da battere. Vincitrice del Southern& Western Open, battuta solo da Osaka agli Us Open, sembra aver ritrovato lo smalto che l’aveva vista raggiungere il n.1 della classifica. Questa volta, però, la bielorussa non resta nell’album dei ricordi di Roma per un trionfo. Ha infatti dovuto cedere nei quarti a un’ottima Garbine Muguruza, alla fine di una delle più belle partite del torneo. Di Vika resterà indimenticabile l’intervento a soccorso di Daria Kasatkina, durante il suo match degli ottavi.

Sotto 1-0 nel tie-break di un combattuto primo set, la sua avversaria è inciampata nel tentativo di recuperare una palla corta. La caviglia destra di Daria ha ceduto dopo aver fatto leva sulla riga: crack! A soccorrerla per prima è stata proprio Viktoria, che in un lampo ha scavalcato la rete, ha capito la gravità dell’infortunio ed è corsa in panchina a recuperare del ghiaccio. Poi è rimasta vicino all’avversaria che ha cominciato a piangere, per il dolore e lo sconforto. E lei la rassicurava, in un’attesa dei soccorsi sanitari che pareva interminabile.

Era sempre Vika, insieme alla trainer della Wta, ad aiutarla a rialzarsi, ad offrire la propria spalla come appoggio, fino alla sedia dove Kasatkina, che non poteva appoggiare a terra il piede destro, veniva adagiata.

La trainer le toglieva il calzino per verificare l’entità del trauma. E le faceva capire che per lei il match era certamente finito. Altri scoppi di pianto, sotto la mascherina con i colori del Barcellona. Pareva inconsolabile la povera Daria. Doveva intervenire ancora una volta la sua più matura avversaria, 31 anni contro i suoi 23, a consolarla, abbracciarla, cercare di lenire la sua disperazione. Alla fine le dava persino un bacio sulla testa desolatamente abbandonata penzoloni, come avrebbe fatto una madre con la figlia. Una scena di rara empatia e dolcezza che non dimenticheremo.

Rafa Nadal versione cavaliere mascherato - foto Sposito

7) La vittoria di Schwartzman su Nadal – Era arrivato aggressivo e granitico come sempre, con la sua mascherina gialla e nera con il logo dell’academy di Maiorca. Due prestazioni delle sue, senza smagliature, contro Carreno Busta e Lajovic, e Rafael Nadal, alle sue prime partite in assoluto dopo la pausa-Covid, era subito identificato come il primo candidato alla vittoria finale, la sua decima.

Il re però si è trovato improvvisamente messo a nudo dalle geometrie, piatte, violente ma studiatissime di Diego Schwartzman, il campione argentino ‘tascabile’, con il suo metro e 70, il più piccolo finalista Masters 1000 di sempre.

Servizio da sinistra sempre sul rovescio di Rafa, incroci di rovescio strettissimi a mandare lo spagnolo a giocare di diritto sulle fioriere, ritmo indiavolato e bombe di diritto “inside in” che il vincitore di 19 Slam vedeva passare sul suo lato destro senza nemmeno poterle toccare. Queste le soluzioni ripetute con efficienza assoluta dal "Peque".

Un capolavoro e insieme una demolizione che hanno spedito Nadal ad affermare in conferenza stampa di aver giocato male. Non era vero: per una notte, indimenticabile, sulla terra battuta di Roma Schwartzman era stato più forte di lui. Punto.

L'esultanza di Diego Schwartzman

8) La partita Shapovalov-Schwartzman – Aperte le porte a 1.000 spettatori nel sabato delle semifinali, la sessione serale offriva una sola partita: l’inedito confronto tra Schwartzman, giustiziere di Nadal, e Denis Shapovalov, il canadese volante, un po’ Nureyev, un po’ McEnroe.

Il più forte dei Next Gen, talento naturale persino troppo esuberante nelle sue invenzioni, aveva dato segni di maggiore quadratura a New York raggiungendo per la prima volta i quarti di finali agli Us Open la settimana precedente a questi IBI20.

La conferma dei progressi sul piano dell’ordine di gioco e della continuità, grazie al lavoro con il nuovo coach Mikhail Youzhny (ex top 10), arrivava dalle vittorie contro Pella, Martinez, Humbert e Dimitrov che lo issavano alla prima semifinale sulla terra di Roma. Che il biondo mancino caracollante sia ormai pronto per misurarsi ai vertici lo hanno potuto apprezzare i mille tifosi “garibaldini” della serata al Foro, premiati dal poter assistere alla più bella partita del torneo, 3 ore e 15 minuti di pallate schioccanti, scambi interminabili, prodezze balistiche, sbracciate assassine.

Un livello di gioco pazzesco, con Schwartzman capace di rimandare sempre a un palmo dalla riga di fondo avversaria anche gli attacchi più profondi e pesanti. Un equilibrio da brividi rotto solo al tie-break del terzo set, il game nato apposta per rompere equilibri. 6-4 5-7 7-6(4) Argentina: che partita!

9)Il ritorno di Simona Halep – La n.2 del mondo, chiusa nelle frontiere rumene durante il lockdown, aveva deciso di rinunciare prima al torneo Wta di Palermo (prima prova professionistica al mondo che ripartiva), poi alla trasferta americana per gli Us Open.

Gli Internazionali BNL d’Italia sono stati il torneo del suo rientro e la piccola campionessa di Costanza, senza proclami, con grande umiltà, è arrivata passo passo fino alla finale. L’osso più duro sul cammino era stata la spagnola Garbine Muguruza, aggressiva fino all’ultimo, ma Simona aveva incassato tutte le bordate rimandando sempre indietro una palla in più. E sempre con intelligenza.

Nell’atto conclusivo le è arrivato il regalo inatteso dell’infortunio a Karolina Pliskova, che si è dovuta ritirare all’inizio del secondo set. Nulla toglie al primo successo romano di una campionessa non sempre fortunata e tante volte fragile che però sa farsi sempre trovare pronta alla battaglia nei tornei che contano.

Djokovic posa con il trofeo degli IBI20

 10) Il ritorno di Nole – Se c’è uno che non è mai andato via è Novak Djokovic. Il suo successo a Roma è arrivato però al ritorno dalla sfortunata trasferta degli Us Open e alla fine di un’estate tragicomica in cui il n.1 del mondo è stato sempre al centro delle polemiche.

Preso in giro per le sue teorie nutrizioniste, contestato come No Vax per non essere entusiasta dell’obbligo di vaccinarsi, massacrato dai media e dai social per i contagi scaturiti dalla sua Adria Cup (positivi anche lui e la moglie Jelena) Nole era comunque in grande forma e favorito a New York. Era anche però al centro del mirino per aver da poco fondato, controtendenza rispetto all’Atp, una nuova associazione tra i giocatori professionisti.

Che fosse un po’ nervoso poteva anche essere plausibile. Quella palla tirata senza guardare alle proprie spalle, in un momento di sconforto, e  finita proprio in gola alla giudice di linea sapeva di punizione divina. O semplicemente di sfiga colossale.

Fatto sta che il n.1 del mondo ha tirato su le sue ossa un’altra volta, ha attraversato l’Oceano, ha cambiato superficie, ha fatto buon viso nelle conferenze stampa e alla fine si è fatto trovare pronto a battere tutto e tutti ancora una volta. Il gesto di gettare il proprio cuore ai quattro lati del campo anche dopo le prime vittorie, quelle ottenute dentro lo stadio vuoto, fotografa una grandezza che non ha bisogno del consenso altrui per essere tale.

E’ il più forte. E tanto basta per dare splendore all’edizione 2020 degli Internazionali BNL d’Italia, quella in cui il torneo ha compiuto 90 anni. Alla grande.

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