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Campioni next gen

Baez, il Next Gen argentino, è piccolo ma pensa in grande. Da nuovo Schwartzman...

Il numero 111 del mondo si qualifica al Super8 del Palalido coi migliori under 21 mondiali grazie al record di 5 titoli Challenger ad appena 20 anni. Alto 1.70 segue le orme del Peque…

di | 04 novembre 2021

Sebastian Baez

In campo, lo scambiano spesso per Diego Schwartzman, per come è piccolo ed energetico e mulina le braccia, per come percorre chilometri e recupera ogni palla mettendo la contesa sul piano della resilienza, per come porta il cappellino alla ciclista e si auto-incita a più non posso proprio come “El peque”. Sebastian Baez ci metterebbe la firma a diventare come il numero 1 della sua Argentina, il giocatore al quale sicuramente si è ispirato per arrivare a qualificarsi alle Next Gen Finals coi migliori under 21 del 9-13 novembre al Palalido di Milano. Dove darà una sterzata notevole alla carriera sotto tanti profili: intanto, si farà notare su una ribalta diversa e più di richiamo di quella dei Challenger che frequenta abitualmente e rimpinguerà notevolmente le casse con gli 80mila euro che intascherà soltanto per la presenza all’Allianz Cloud. 

Nato il 28 dicembre 2000 a Buenos Aires, alto appena 1.70 in un tennis che coi giovani più forti viaggia intorno ai due metri, Baez ha dovuto subito arrangiarsi con le armi che aveva e ha dovuto accettare il gap atletico cogli avversari sin dai primi scontri con la racchetta, perdendo due finali importanti a livello juniores, al trofeo Bonfiglio di Milano - città che quindi ritroverà -, e al Roland Garros di Parigi, anche se è comunque salito al numero 1 mondiale di categoria. Si è quindi imbarcato nella dura trafila dei tornei pro minori: l’anno scorso ha frequentato solo i Futures, affacciandosi ai Challenger a fine stagione e chiudendo la sua prima passerella pro da 309 del mondo, quest’anno ha riaperto il libro dei record del suo paese, segnalandosi come il più giovane campione argentino dei tornei di secondo livello ATP dopo il connazionale Guillermo Coria, “il mago”, e quindi, aggiudicandosi 5 Challenger in una sola stagione, ha messo un’altra tacca nel curriculum di precocità diventando, a 20 ani, il più giovane di sempre ad accumulare un simile bottino. 

Sebastian Baez sorridente con il trofeo vinto al Challenger di Buenos Aires

Peraltro, ha scalato marcia nei confronti dell’altro Cerundolo, Francisco, che ha battuto nella prima finale, a Concepcion. Mentre l’altro Cerundolo, Juan  Manuel, gli ha appena soffiato di qualche ora il record di primo sudamericano a qualificarsi alle Next Gen Finals per under 21.

Concepcion, concezione, non è stato solo un torneo, un successo importante, ma una boa indimenticabile, una piattaforma, un trampolino: “So di aver lavorato molto duro con la mia squadra proprio per raggiungere questi obiettivi, so che la strada è molto lunga e hai bisogno di una grande spinta  e di una grande motivazione per continuare a raggiungerli. Io lavoro con la miglior gente possibile che mi sostiene ogni giorno e cui dedico il mio primo torneo”.    

Un rovescio in allungo di Sebastian Baez

La finale di Conception gli ha insegnato a scavare ulteriormente all’interno del suo io per trovare forze inaspettate: “E’ sempre difficile giocare contro qualcuno che si conosce così bene, soprattuto un amico del tuo stesso paese. Io e Francisco ci conosciamo davvero da sempre e il nervosismo era moltiplicato dal fatto che ci giocavamo il titolo, sapendo bene quali sono i punti deboli e quelli forti l’uno dell’altro. Per me era anche la prima finale Challenger, e sono particolarmente fiero di essere riuscito a superare tutto ciò, oltre alle normali situazioni di gioco”.

Di lì in poi, il piccolo Baez è cresciuto in modo esponenziale grazie ai successi  di Santiago, Zagabria, Santiago-3, e Buenos Aires, con l’aggiunta dei punti nelle altre due finali perse, a Bratislava e Kiev.

Anche perché, nel sofferto e lungo percorso da brava formichina laboriosa, ha potuto saggiare anche la prima scena ATP. Si è arreso nelle qualificazioni, per ritiro, a Buenos Aires, stoppato in tre set da Trungelliti, così come nel primo turno del Roland Garros e da Ebden a Wimbledon, anche se poi ha superato quelle di Amburgo, conquistando il primo scalpo in un tabellone ATP contro Mutet, e ha sfiorato la qualificazione agli US Open, cedendo solo al terzo turno e al tie-break del terzo set contro Eubanks.

Sebastian Baez con il trofeo vinto al Challenger di Santiago del Cile

Qual è il Baez-pensiero? “I risultati sono il frutto del lavoro, lavoro di anni, di ogni giorno, rimanendo sempre molto attenti ai dettagli, molto professionali, pensando sempre a cosa può essere migliorato. Quando perdiamo, il mio allenatore, Sebastian (Gutierrez) ed io analizziamo cosa è successo e subito cominciamo a pensare al successivo torneo. E se vinciamo, vediamo anche cosa abbiamo sbagliato per farlo in un altro modo. Questa è una tattica che ha dato sempre risultati, e continua a darli”.

Sebastian crede ciecamente nella sua guida, un altro Sebastian: “È difficile per qualsiasi giocatore essere molto bravo da solo: serve una grande squadra, ma serve soprattutto un bravo e fedele allenatore. Gutierrez è al mio fianco da quando ho iniziato a giocare e mi è rimasto accanto anche quando eravamo senza punti ATP e poi per tutta la scalata. Senza Sebastian, non sarei arrivato dove sono. Facciamo tutto insieme”.

Lavorare, sì, ma anche pensare e parlare. I due Sebastian hanno continuato a ritmo serrato anche durante la pandemia: “Non potendo uscire e giocare a tennis, ho fatto tanto lavoro fisico e ci siamo interrogati sull’esempio più vicino e insieme più lontano a me, Diego Schwartzman. Così ci siamo detto che l'altezza non è un limite. E anche se non ho un servizio come uno di 1,90 lo stesso vale per el Peque che i suoi risultati li ha ottenuti e li ottiene comunque. Sapendo che quel limite si può compensare con meno errori, più variazione, testa o potenza"

"Il tennis si gioca in tutto - sottolinea -. Quindi è importante conoscere bene quali sono le cose che fanno male all’avversario e quali sono le mie virtù. L’importante è star bene fuori dal campo perché altrimenti è davvero difficile stare bene quando sei dentro. Bisogna trovare l'equilibrio tra la persona e il tennista. E non pensare alla classifica ma solo ai miglioramenti che si possono fare”.

Così, pensando in piccolo, il piccolo Baez sta diventando sempre più grande, ed è chiaro che il numero 111 del mondo gli sta… sempre più piccolo.


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