

Oleksandr Ovcharenko, 20enne originario di Kiev, vive da 5 anni a Bari, dove si allena con il coach Vincenzo Carlone. Reduce dal primo titolo da pro centrato a Bergamo, vuole coltivare il suo sogno, malgrado tutto. "Ma non chiedetemi - dice - di giocare il doppio con un russo"
14 luglio 2022
Una parte della famiglia – fratello e sorella – è rimasta a Kiev, a sperare che questo incubo passi in fretta. Lui, Oleksandr Ovcharenko, vive in giro per il mondo col sogno di diventare professionista, con l'Italia come base. Da 5 anni vive e si allena a Bari il Next Gen ucraino, 20 anni e tante speranze, che hanno assunto un contorno diverso dopo il 24 febbraio 2022, il giorno dell'inizio dell'invasione russa nel suo Paese d'origine.
“A una situazione tanto assurda come questa – spiega Oleksandr in un ottimo italiano – non ci si può abituare mai. Solamente si può cercare di superare lo shock e di andare avanti con una vita più o meno normale. È ovvio però che il pensiero corra sempre là, ai miei fratelli che sono a Kiev. Rispetto ai giorni di febbraio e marzo, nella Capitale la situazione sembra normalizzata, ma ho amici che la casa non ce l'hanno più e il timore ovviamente resta”.
Ovcharenko ha appena vinto il suo primo titolo da professionista, e lo ha fatto proprio in Italia, a Bergamo, dove ha conquistato il Trofeo Azimut, 15 mila dollari sulla terra battuta del Tc Città dei Mille. Lo stesso circolo dove nel 2004 aveva giocato anche Novak Djokovic, e dove in seguito ha vinto il titolo l'ex top 10 azzurro Fabio Fognini.
Numero 601 Atp in avvio di torneo, l'ucraino d'Italia è già salito di una sessantina di posti nel ranking ma promette di non fermarsi, forte di un gioco non troppo appariscente ma redditizio. Un repertorio forgiato all'Accademia Tennis Bari (dove gioca anche il campionato a squadre) insieme al coach Vincenzo Carlone, e poi portato in giro per l'Europa e per il mondo in cerca di un sogno ancora vivo, nonostante tutto.
“Il mio cuore è in Ucraina – prosegue – e francamente ci ho pensato, di tornare là e dare una mano. Ma vorrebbe dire lasciare da parte la carriera, per chissà quanto tempo. Nessuno sa dire quando questa guerra finirà, purtroppo potrà durare ancora a lungo. Ho sacrificato 15 anni della mia vita per coltivare l'obiettivo di diventare professionista, perdere tutto adesso sarebbe difficile da accettare”.
Coi colleghi russi, per Oleksandr, non ci sono particolari problemi. Con una postilla importante. “Certo, parlo con loro, non hanno colpa per quello che è successo. Ma prima devono garantirmi che non appoggiano la guerra. Se il conflitto va avanti è anche perché in Russia c'è ancora un certo consenso popolare. Un doppio con un russo? No, non credo che potrei farcela...”.
Intanto Wimbledon, appena concluso, è andato in scena senza russi e bielorussi. Decisione corretta? “Devo essere sincero? Mi importa poco. A me importa che finisca questa guerra. Togliere i punti Atp al torneo, inoltre, ha paradossalmente favorito un russo (Daniil Medvedev, ndr) nel ranking mondiale. Quindi cosa cambia, alla fine?”.
L'amarezza è evidente, ma è il minimo che possa trasparire dalle parole di un atleta che è diviso a metà tra il suo sogno che potrebbe frantumarsi e una famiglia in pericolo, come del resto un intero Paese. “I miei genitori si sono da tempo trasferiti in Croazia, ringrazio il cielo che siano al sicuro. Per quanto mi riguarda continuerò ad allenarmi qui, a frequentare i tornei in Italia quando posso, sperando di crescere ancora”. Oggi è nei top 100 Next Gen al mondo, a 20 anni avrebbe tutto il diritto di pensare solo al tennis. Invece non può, travolto da qualcosa di ingiusto e terribile a cui è difficile – forse impossibile – dare una spiegazione.
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