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Campioni nazionali

Il volo di Agamenone: da Rio Cuarto a Lecce, sognando Roma

L'argentino, 28 anni, dallo scorso novembre si è trasferito in Puglia, e gioca con la bandiera italiana accanto al suo nome. Nel 2021 ha già vinto tre titoli Itf ed è a un passo dai top 200 della Race. Alla scoperta di un ragazzo che non è più una promessa ma che può crescere, dopo essersi lasciato alle spalle una dolorosa sospensione per doping

di | 21 aprile 2021

Ha da sempre il doppio passaporto, ma fino al 2020 giocava con la bandiera argentina accanto al suo nome. Poi, lo scorso novembre Franco Agamenone ha deciso di cambiare vita, cambiando pure la sua patria tennistica: trasferimento (con la fidanzata) da Rio Cuarto, non lontano da Cordoba, a Lecce, con un tricolore da difendere e un sogno chiamato Internazionali Bnl d'Italia.

“Perché in fondo, poter giocare gli Open di pre-qualificazione al Masters 1000 del Foro Italico – spiega il 28enne – è stata la molla decisiva per maturare questa decisione”. Tuttavia l'Italia, nella sua esistenza, c'è sempre stata, grazie alle origini dei bisnonni, volati dal Piemonte al Sudamerica una vita fa in cerca di fortuna. “Ma è stato giocando i campionati a squadre – continua – che ho avuto modo pure di conoscere la gente e imparare la lingua. Così, adesso, eccomi qui”.

Il nome di Agamenone sta cominciando a circolare spesso per merito dei suoi risultati: nel corso del 2021 ha già vinto tre titoli in tornei Itf da 15 mila dollari, uno sulla terra del Cairo, in Egitto, e due sul cemento tunisino di Monastir. In aggiunta, sono arrivate altre due finali (sempre a Monastir), per un totale di 32 partite vinte su 39 disputate. Con una classifica della Race che lo vede ormai a ridosso dei top 200. Il tutto a un'età che non è più quella di una promessa, e con un best ranking (377) datato addirittura 2017. Come è arrivato, dunque, Franco Agamenone in Italia? E soprattutto, dove spera di arrivare se parliamo di ranking mondiale?

“Avevo questo contatto al Tc Lecce, dove gioco da qualche stagione il campionato nazionale – spiega lui – e così quando ho deciso di trasferirmi in Europa mi è venuto naturale puntare sulla Puglia. In Argentina ancora oggi allenarsi non è così facile, ci sono meno tornei, meno giocatori, meno opportunità. Una volta giunto qui, ho trovato subito l'ambiente ideale: mi alleno con Andrea Trono e Tommaso Mannarini, e con Paolo Capano per la parte atletica, mentre solo la mental coach è rimasta quella di prima: è argentina, si chiama Mirta Iglesias e adesso ci sentiamo al telefono. Malgrado questo, posso affermare che è una parte decisiva della mia crescita”.

Il best ranking risale a 4 anni fa. Dopo quell'ingresso nei top 400, cosa ti è successo?

“Mi allenavo con Patricio Heras, giocavo bene ma non ero pronto mentalmente per fare i sacrifici che servono per entrare nel mondo dei pro e rimanere costante ad alto livello. Tecnicamente, invece, si trattava di una scarsa attenzione ai piccoli dettagli, che messi uno sull'altro facevano la differenza”.

Nella tua carriera c'è però anche una sospensione per doping.

“Sì, nel 2019 sono stato sospeso per 10 mesi dopo che mi sono state trovate tracce di un diuretico proibito. Si è trattato di una contaminazione di alcuni integratori, la commissione ha confermato la non intenzionalità dell'assunzione, ma mi ha punito per negligenza, come in passato era stato fatto con altri giocatori (tra cui il brasiliano Thomaz Bellucci, ex numero 21 Atp, ndr). È stato un periodo duro, quando ho letto la lettera che mi avvisava della positività non ho dormito per diverse notti. Ma adesso è un capitolo chiuso, e mi sento ancora più deciso di prima nell'andare a caccia dei traguardi che mi sono prefissato”.

Quali sono questi traguardi?

“Intanto ritrovare i top 400 Atp, che in una stagione come questa, con la classifica congelata, sarebbero già un risultato di una certa rilevanza. Poi cominciare a giocare con costanza i Challenger, e in futuro entrare fra i top 100. Il mio obiettivo a lungo termine è giocare il Roland Garros e gli Us Open, i miei Slam preferiti”.

Intanto stai vincendo tanto a livello Itf. Anche sul cemento, nonostante tu conosca poco questa superficie.

“Non è che la conosco poco. È che fino a inizio 2021 non la conoscevo per niente. A livello internazionale avevo giocato sì e no 5 o 6 tornei sul duro in tutta la mia carriera, senza peraltro buoni risultati. Poi Andrea (Trono, ndr) mi ha suggerito di provarci, perché a suo parere questo mi avrebbe aiutato a fare progressi sotto l'aspetto tecnico. Ha avuto ragione lui: adesso spingo di più, cerco maggiormente il punto e provo ad andare a rete più spesso. Così anche sul cemento, ora, vinco e mi diverto”.

Come ti descrivi, tecnicamente?

“Il rovescio è il mio colpo migliore, senza dubbio, ma adesso cerco il punto anche col diritto. E ho migliorato molto pure il servizio e il gioco di volo. Di sicuro sono molto più aggressivo rispetto al passato, quando giocavo solo sulla terra e potevo essere definito un regolarista tipico. In questo senso, l'approdo in Italia è stato fondamentale”.

Se 10 non vi bastano: gli altri italiani con vista top 100

Sei arrivato in Italia in un momento di boom del nostro tennis. Come lo vivi, da emigrato?

“Intanto il boom non è arrivato per caso: da sempre in Italia lavorate bene, la Federazione ha fatto tanto per far crescere i giovani, e avete sempre avuto parecchi tornei che hanno permesso ai migliori talenti di maturare. Adesso raccogliete i frutti di tutto questo. Io posso solo guardare con ammirazione questi risultati, sperando un giorno di poter fare parte del gruppo degli italiani nei top 100”.

Cosa ti manca dell'Argentina?

“L'asado (la carne grigliata, ndr) con gli amici, le abitudini del luogo dove hai vissuto per gran parte della tua vita. E soprattutto la famiglia: papà Josè Luis, mamma Edit, mio fratello Juliano, che era pure un buon giocatore, ma adesso ha smesso. Nessuno in famiglia era un fanatico di tennis, ma in fondo piaceva a tutti, e così è stato facile prendere quella strada. In Italia adoro la gente, sempre ospitale. E per adesso mi trovo talmente a mio agio che non sento così tanto la malinconia. A Lecce ho trovato una seconda famiglia”.

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