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Campioni nazionali

Dall’hockey al tennis: le ambizioni di Weis, l’altro altoatesino

Come Sinner, anche il suo corregionale Alexander Weis prometteva gran bene in un altro sport, ma ha preferito il tennis affascinato dalla possibilità di dipendere solo da se stesso. Oggi l’altoatesino atipico è numero 300 del mondo, cresce e vede sempre più vicino il traguardo delle qualificazioni Slam

07 febbraio 2024

L’Alto Adige, si sa, in Italia è la terra degli sport invernali, ma non per questo non può produrre ottimi atleti anche in altre discipline. Se la prova è il campione Jannik Sinner, la conferma è l’altro altoatesino Alexander Weis, che non vince i tornei del Grande Slam ma è comunque fra i primi 30 giocatori d’Italia e si sta costruendo una carriera sempre più dignitosa.

Cosa li accomuna? Le origini, certo, ma anche il fatto che entrambi oggi potevano essere ben lontani dal mondo del tennis. Sinner perché – come ormai è arcinoto – era un campioncino sugli sci, mentre il suo attuale collega ci sapeva fare eccome con l’hockey su ghiaccio, primo sport a essere entrato nella sua vita. Poi all’età di 9 anni ha conosciuto il tennis, per un po’ di tempo ha praticato entrambe le discipline (proprio come Sinner) e quando si è trovato di fronte a un bivio ha scelto la racchetta. Il motivo? La passione era equamente divisa fra terra battuta e ghiaccio, ma il fascino dello sport individuale bussava più forte. “Ho scelto il tennis – ha raccontato in un’intervista il 26enne di Bolzano – perché è uno sport nel quale l’unico responsabile dei risultati sei te stesso. Mi poneva di fronte a sfide più importanti e divertenti”.

Così, il suo idolo sportivo rimane il russo Aleksandr Oveckin, nome che agli appassionati di tennis dirà poco perché invece della racchetta impugna la mazza (da capitano dei Washington Capitals nell’NHL), ma oggi l’hockey è un hobby e il tennis un lavoro, da numero 300 della classifica ATP e con prospettive di crescita sempre più evidenti.

Per sette anni Weis si è allenato al Tc Rungg di Appiano, una delle principali realtà tennistiche del suo Südtirol, mentre da un paio di stagioni – dopo un lungo peregrinare che l’ha visto passare da Trento, Milano ma anche da Alicante (alla corte di Ruben Ramirez Hidalgo) – l’altoatesino ha trovato casa a Roma, da coach Francesco Aldi all’Enjoy Sporting Club. È lì che sta lavorando per mettere il turbo a un tennis brillante, col diritto come arma principale ma anche tante altre qualità che gli hanno permesso di abbandonare i tornei ITF per stabilirsi a livello Challenger, dove il professionismo vero e proprio inizia a prendere forma anche secondo il portafogli.

La svolta è arrivata a fine 2022: Weis ha vinto uno via l’altro tre dei vecchi Futures, e si è reso conto che era il momento di tentare lo step successivo. L’ha fatto e ci è rimasto, prendendo consapevolezza dei propri mezzi e abituandosi in fretta a un ambiente più professionale, più esigente, più difficile. Partita dopo partita, il livello è migliorato e la classifica anche, fino a portarlo lo scorso luglio al numero 285 della classifica (best ranking), non lontano dal grande obiettivo di entrare nelle qualificazioni dei tornei del Grande Slam.

Un sogno che non sembra più così distante, per un ragazzo che miscela dedizione e grande rigore nei propri confronti. A volte è un limite, perché tende ad abbattersi quando le cose non vanno, ma tante altre rappresenta un grande pregio, perché in uno sport che richiede sacrifici costanti per 365 giorni all’anno l’appagamento è meglio lasciarlo stare.

Le chiavi per crescere ancora? Due su tutte: trovare maggiore continuità e proporre un tennis più aggressivo. Di certo non gli manca l’ambizione, la stessa che l’ha portato a iniziare il 2024 con una trasferta di quattro settimane in Sudamerica, fra Argentina, Uruguay e Brasile. I primi tre tornei Challenger potevano andare meglio, ma nel quarto – a Piracicaba, nello stato di San Paolo – ha vinto due partite e si è regalato il primo quarto di finale della stagione, eguagliando il suo miglior risultato in carriera.

Si è fermato lì, ma torna in Europa con ancora più fame e col desiderio di dimostrare che l’Alto Adige del tennis non è solo Sinner e l’ormai ex Andreas Seppi. C’è anche lui, che dei due conosce di più il secondo (“veniva spesso ad allenarsi a Bolzano, mentre Jannik è andato a Bordighera da giovanissimo”) e a differenza di entrambi è un altoatesino atipico, come si definisce lui stesso. Perché ha un accento che non richiama la sua terra d’origine, dovuto alla madre professoressa di italiano e latino che ha voluto che Alexander e il fratello parlassero la nostra lingua sin da piccolissimi, ma anche perché si trova meglio con lo stile di vita romano, e non solo perché allo strudel ha sempre anteposto il tiramisù. Semplicemente, preferisce un approccio più allegro, meno rigido, più elastico dal punto di vista mentale.

Per lui non esiste solo il piano A,  ci sono anche altre strade. Tanto che ha iniziato l’università online, anche se poi l’ha messa in standby a favore del tennis. “Fino a quando ho le possibilità e la passione per farlo – ha detto – ci provo al cento per cento. Il tennis è così: bisogna avere il coraggio di rischiare. Non ti puoi fermare, mentre lo studio si può intraprendere anche con un paio di anni di ritardo”. Specialmente quando c’è un sogno top-100 da inseguire.

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