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Alla vigilia del Roland Garros, la Francia festeggia l’ultimo successo di un giocatore di casa del 1983 e un personaggio impareggiabile. Anche fuori del campo di tennis
di Vincenzo Martucci | 27 maggio 2023
Quarant’anni dopo la Francia tennistica festeggia la presa del Roland Garros di Yannick Noah nel 1983 con un bel po’ di mestizia: da allora, da quel sofferissimo match contro Mats Wilander, vinto per 6-2 7-5 7-6, sull’orlo del crollo fisico, nessun altro francese s’è ascritto nell’albo d’oro, malgrado le promesse dei “Nuovi Moschettieri”, Gasquet-Monfils-Simon-Tsonga. E nessun altro atleta di altri sport è più stato così carismatico, intrigante, amato, importante e ricco di interessi anche sociali del ragazzo di Sedan, neo 63enne, figlio dell’ex calciatore del Camerun, Zacharie, e della bionda autoctona Marie-Claire.
Nessun guerriero con la racchetta ha toccato più punte così elevate nella classifica mondiale, numero 3 nel luglio 1986, nessuno è stato così protagonista al vertice, nessuno è stato così fedele alla nazionale, giocando in nazionale per 11 anni, col doppio record di singolare e doppio, di 39 vittorie e 22 sconfitte. Nessuno ha poi saputo condurre, da capitano non giocatore, i “Blues” a un trionfo indimenticabile di coppa Davis, nel 1991 - la prima dopo 59 anni - peraltro contro gli Stati Uniti di Agassi e Sampras, ripetendosi nel ’97 e poi siglando anche la Fed Cup nel 2017.
Nessuno ha brillato anche fuori dal campo, come musicista, come riferimento positivo dei figli e nipotini di colore delle ex colonie che popolano le difficili periferie di Parigi e delle grandi città. Nessuno ha avuto quella vivida personalità, quel fascino e quella capacità di attrazione assolutamente irresistibili.
Nel nome peraltro di un altro simbolo intangibile come quello del suo idolo e mentore, Arthur Ashe, scomparso trent’anni fa per l’AIDS contratto per una trasfusione nella sua travagliata esistenza di cardiopatico. Dopo essersi battuto - da pacifista - per tutta la vita per i diritti civili (da quelli dei neri d’America ai rifugiati haitiani, dai malati di AIDS all’apartheid), dopo aver aperto la strada da primo tennista nero ad imporsi nello Slam, agli US Open 1968. Talmente amato che il campo centrale della tappa Majors negli USA, a New York, è stato intitolato a suo nome.
L’indimenticabile campione afroamericano aveva legato il suo mito al trionfo a Wimbledon 1975, Noah l’aveva vinto da junior e ci aveva giocato in doppio proprio in coppia col grande Arthur, a 18 anni, nel 1978, fermandosi però due volte al terzo turno ai Championships in singolare. Non è più riuscito a raggiungere le vette di quell’unico successo in singolare negli Slam, lo doppiò comunque in doppio al Roland Garros 1984, e diventò re di Roma in singolare nel 1985, conquistando anche il classico indoor di Milano del 1988 contro Connors. Limitato dalla sua indole non eccessivamente battagliera, dalla voglia di vivere e dall’enorme pressione della Francia.
Nel segno della famosa grandeur, lontanissima dal ragazzo di Sedan dal sorriso dolce che conquista. Noah era stato scoperto proprio da Ashe durante in un clinic a Youndé, in Camerun, insieme d’altri grandi campioni (Rissen, Okker e Pasarell) che, nel regalargli una racchetta con dedica (“Spero un giorno di vederti a Wimbledon”), l’aveva segnalato a Philippe Chatrier, futuro, geniale, presidente della Federtennis francese, indirizzandolo alla scuola di Nizza. E l’aveva poi spronato e sponsorizzato sin nei primi passi da junior e nei primi successi da pro, spedendogli messaggi a ogni risultato significativo. Influenzandolo anche nell’impegno sociale e nel ruolo di esempio per i giovani e la gente di colore.
L'emozione di Yannick Noah dopo aver conquistato il titolo al Roland Garros 1983 (Getty Images)
Tutti e due giocatori fisici, d’attacco, mentre Ashe che, ha conquistato 76 tornei, è stato capace con estrema intelligenza di modificare la sua indole e di trasformare totalmente il proprio gioco per battere Jimmy Connors a Wimbledon dandogli palle senza peso, Noah si è esaltato sull’amata terra rossa e indoor, cogliendo 23 successi ATP. E ha vinto nella vita come padre anche di un cestista NBA, Joachim.
Lui che più che come campione sognava di portare valori positivi nella vita dei bambini, con più organizzazioni umanitarie, anche insieme alla madre, Marie-Claire, è stato anche un motivatore-chiave di tennisti Doc, come Amelie Mauresmo e Pouille, e anche di calcio, al famoso PSG. Chi c’era, l’1 dicembre 1991, al palasport di Lione, non potrà dimenticare Yannick col microfono che, dopo aver rimesso in campo Henri Leconte che si era appena operato d’ernia del disco e sembrava ormai un ex giocatore, canta il suo Saga Africa e coinvolge ballando, in un impensabile trenino al centro del campo, tutta l’equipe francese.
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