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Campioni internazionali

“I coach non servono”: Kyrgios ha gettato la spugna?

"Non credo che esista un coach giusto per me" ha ammesso Nick Kyrgios. Dichiarazioni che si possono leggere in tanti modi

di | 24 settembre 2020

Nick Kyrgios

Nick Kyrgios

“I coach sono una perdita di denaro”. Ci sono tanti modi di leggere queste dichiarazioni di quel provocatore nato di Nick Kyrgios. C’è il modo tradizionalista, che ci porta a rispondere come avrebbero fatto i nostri genitori, cacciando l’ultimo bad boy dello sport dietro la lavagna e poi punendolo facendogli ricopiare per venti pagine aste e lettere. 

Come si fa a cancellare il maestro, l’educatore, la guida? Assurdo! E’ solo la scappatoia ideale per dribblare le regole quotidiane dell’allenamento: via il controllore, via il controllo. Se tutti hanno nel tennis un coach, se qualcuno ce l’ha addirittura doppio, perché avverte la necessità oltre all’allenatore-mamma di avere accanto anche quello papà, cioè il super-coach, figurati se non ne avrebbe bisogno uno come Kyrgios che è l’esempio più lampante del talento bello incompiuto!



Per leggere le dichiarazioni dell’australiano c’è poi la via dei negazionisti, gli anarchici, i puri per sempre, quelli che sono intimamente convinti che qualsiasi problema sia risolvibile dentro di noi, con l’aiuto delle forze della mente, del nostro io, dell’anima che può farci superare qualsiasi ostacolo senza aiuti esterni. Men che meno di tipo psicologico. Perché se l’introspezione non è volata e totale c’è sicuramente una ricaduta anche peggiore della malattia.

Quindi, tanto vale, percorrere tutta la Via Crucis trafitti di spine e di chiodi, per capire da soli che cosa c’è al traguardo. Senza aiuti e aiutini, senza coach e motivati di qualsiasi tipo essi siano. 

   Chissà come si pongono giocatori e allenatori davanti alle ultime frasi di Kyrgios, chissà come si schierano e come commentano sui social e in privato. 

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L’interessato è pieno di controsensi, perché è un ottimo compagno di squadra, come ha dimostrato sia in coppa Davis, con la sua nazionale, che in Laver Cup, con la nazionale del Resto del mondo nella manifestazione ideata da Roger Federer sulla falsariga della Ryder Cup di golf. Ma spiega, magnanimo il concetto: “Io non penso che per me esista un coach giusto. Al momento attuale della mia carriera, sono già troppo avanti per un allenatore perché i miei percorsi si sono già solidificati. E, ad essere completamente onesti, non mi piace ascoltare consigli. Voglio risparmiarglielo, perché altrimenti sarebbe un incubo”.

Almeno è onesto, e dimostra di essere lucido e di  conoscere sé stesso, senza cercare alibi e false verità: “Non credo che il mio corpo potrebbe durare sette partite in un Grande Slam, giocando tre/quattro ore a partita. Voglio solo godermi il tennis. Penso che lo sport è preso un po’ troppo sul serio”.

   Insomma, in realtà, Nick il terribile rivendica la libertà di non volere andare oltre, come impegno fisico e mentale.



Nick Kyrgios

Dichiara di preferire altre gioie, nella vita, a qualche vittoria in più. Purtroppo, così facendo, traccia anche una riga definitiva sulle sue aspirazioni, ad appena 25 anni, dopo aver dimostrato qua e là di poter battere i più forti nei tornei più importanti. In fondo, quando l’anno scorso, agli Internazionali BNL d’Italia di Roma, frustratissimo, gettò prima la racchetta e poi una sedia sul terreno, lasciando volontariamente il campo per protesta contro la tenacia di quel muro del norvegese Casper Ruud, aveva già dichiarato il suo virtuale abbandono da un certo livello d’impegno. E di giocatore. A che gli serve un coach se non ha voglia di migliorare? Che lo faccia il diligente Ruud, che intanto è salito al numero 30 del mondo andando alla scuola della fatica più dura che sia, quella di Rafa Nadal a Maiorca.

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