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Campioni internazionali

Sinner può vincere gli Us Open: ecco perché

Il livello di tennis espresso contro Auger-Aliassime è stato altissimo e l’esperienza della sconfitta, nelle sue modalità, è stata sufficientemente bruciante perché Jannik non la voglia ripetere. Tra i protagonisti più attesi a New York non c’è nessuno che lui non abbia già battuto o con cui non abbia giocato alla pari (tranne Nadal, che però non è in gran forma). Quindi…

di | 19 agosto 2022

L’affermazione di Darren Cahill, in una recente intervista, per cui Sinner è pronto per vincere uno Slam anche subito è del tutto condivisibile. E paradossalmente lo è quasi di più dopo averlo visto perdere la notte scorsa contro Felix Auger-Aliassime negli ottavi di finale del ATP masters 1000 di Cincinnati.

Il livello di gioco espresso dall’azzurro nella prima ora e mezzo di gioco è stato davvero impressionante, considerando che aveva di fronte il n.9 del mondo, tra l’altro giovane emergente come lui, e probabilmente dotato del fisico più potente, veloce, esplosivo e resistente del circuito. Sinner lo ha letteralmente dominato, servendo forte come lui e tirando ancora più forte e profondo da fondocampo ma con un margine di sicurezza più ampio. Lo ha stroncato con un uso della palla corta (giocata sulla diagonale incrociata del diritto) diventato sicuro ed efficace e una copertura della rete sempre migliore. Impressionanti i progressi se confrontiamo Jannik di oggi con il giocatore che era solo 12 mesi orsono.

Detto questo è ovvio immaginare che il fresco 21enne di Sesto Pusteria (ha compiuto gli anni lo scorso 16 agosto) sia discretamente incazzato con se stesso per l’eccessiva leggerezza con cui ha giocato il primo dei due match point capitatigli sulla racchetta, mentre comandava l’incontro in vantaggio 6-2 6-5 15-40 sul servizio di Auger-Aliassime.

Ciò che sicuramente gli rode non è l’errore di diritto in sé (una palla tirata molto forte ma centralmente nei primi colpi dello scambio che si è stampata alla base del nastro) ma il non aver interpretato il momento alla perfezione, l’aver preso un rischio inutile su un punto determinante. Semplicemente perché, sentendosi in controllo del match non ha percepito in quell’attimo, quanto fosse importante chiudere il match lì, contro un avversario dotato di un gran servizio e di un fisico superiore al suo. Diversamente non avrebbe sparato così forte e con una parabola così tesa una palla che non aveva la velleità di essere un vincente dato che era indirizzata al centro del campo.

Chi ha giocato a tennis a livello agonistico, anche solo tornei di quarta categoria, conosce questo tipo di sensazioni: quando sei in giornata, ti entrano tutti i colpi, è facile essere esuberante anche su un match-point. Tanto hai la sensazione che se non chiudi quel punto lo farai in quello successivo.

Può succedere anche a Sinner. E' umano. Ha solo 21 anni ed è alla terza vera stagione sul circuito.

Roger Federer nel 2001, poco prima di compiere 20 anni, superò Pete Sampras (che allora era il re di Wimbledon) negli ottavi di finale del torneo londinese e immediatamente gli fu pronosticato un avvenire da grande stella, con grandi vittorie prossime a venire. Due anni dopo, nel maggio del 2003, ancora il grande titolo non era arrivato e Roger perdeva la finale degli Internazionali d’Italia contro lo spagnolo Felix Mantilla, n.47 del mondo. Grande talento evanescente? Un mese e mezzo dopo lo svizzero sollevava la prima delle sue otto coppe con le orecchie e l’ananas sul coperchio su centre Court di Wimbledon. Avrebbe compiuto 22 anni meno di un mese più tardi.

Perché questo paragaone? Perché spesso ci si dimentica che determinati traguardi non arrivano per caso e anche quelli che talvolta sembrano exploit arrivano in realtà partendo dal trampolino di presupposti molto solidi.

Anche un fenomeno assoluto come Roger Federer è arrivato dove sappiamo attraverso un progressivo percorso di crescita all’interno del quale ha fatto e disfatto, raccolto e sprecato. Si chiama esperienza e non è un concetto teorico. Se non ti capita di giocare con un filo di leggerezza un match point, di fallirlo e poi di perdere il match, come è successo ieri a Sinner, non hai vissuto quell’esperienza, non conosci le sensazioni. Nell’arco di una carriera è normale che ti capiti una serata così: se sei intelligente e determinato come Sinner è difficile che ti succeda un'altra volta. Non è un tipo di bruciore che ti va di riprovare.

Nel 2003, per celebrarne la vittoria a Wimbledon, il torneo di Gstaad regalò a Roger Federer la mucca Juliette

Dunque è ragionevole pensare che lo Jannik Sinner che va a New York da n.13 del mondo sia un giocatore un filino incazzato ma anche consapevole della forza e qualità che è in grado di esprimere. Quelli che gli stanno davanti in classifica li ha già battuti tutti o ha dimostrato di poterci giocare assolutamente alla pari (tranne Nadal, le cui condizioni però non sembrano ancora quelle che servono a vincere il 23esimo Slam).

Inoltre la distanza dei tre set su cinque gioca a suo favore: gli permette di recuperare con più margine eventuali passaggi a vuoto e valorizza sia la sua capacità di colpire molto forte in scioltezza (senza troppo dispendio di energia) sia la sua lucidità tattica e forza mentale.

Contro Medvedev può recuperare le sensazioni della splendida sfida sfuggitagli di un soffio alle Nitto ATP Finals di Torino. E il russo quest’anno non pare lo stesso giocatore che annientò Djokovic a New York 12 mesi fa. Zverev è fuori da giochi. Tsitsipas, Ruud, Hurkacz, lo stesso Auger-Aliassime, Rublev, Norrie sono alla sua portata. Un’incognita è l’eventule derby con Matteo Berrettini: lui e Jannik non si sono mai incontrati.

Non c’è dunque motivo per non essere d’accordo con Darren Cahill, che di vittorie Slam e n.1 del mondo se ne intende, perché Sinner non posso fare centro anche subito, a New York.

Jannik Sinner colpisce di diritto (foto Getty Images)

E se non sarà domani, per il primo major o per il n.1 del mondo, il discorso è solo rimandato. Glielo si legge negli occhi e lo si sente risuonare nell’impatto con la palla dei suoi colpi, un rumore impressionante. Se i progressi negli ultimi messi sono quelli che abbiamo tutti sotto gli occhi, proviamo a immaginare come potrebbe giocare Sinner tra un anno. E tra due.

Gli svizzeri hanno sempre dubitato che Federer potesse diventare un n.1: da junior era troppo capriccioso, piangeva sempre e spaccava racchette. Hanno continuato a dubitare fino a quando ha cominciato a portare a casa trofei storici. A quel punto gli hanno anche regalato una mucca, Juliette, 800 chili di tranquillità ruminante.

E anche da noi si sempre fatto fatica a credere davvero che il segreto fosse nella determinazione a migliorare. Quando nel 2000 Francesca Schiavone fece il suo primo ingresso nella Top 100 la invitammo sul campo del Il Tennis Italiano (allora il sottoscritto era caporedattore della rivista) per conoscerla e intervistare lei e il suo allenatore di allora, Marco Tavelli.

Minuta ma muscolosa, inizialmente ermetica e diffidente, si mise a tirare forte sull’rettangolo in erba sintetica che gli editori avevano voluto realizzare sul tetto della sede di allora, come campo prova per testare le racchette. Aveva 20 anni e si vedeva in tutto il suo modo di essere che sarebbe arrivata in alto, che avrebbe provato e riprovato fino a riuscirci.

A fine 1999 in Italia avevamo due Top 100: Silvia Farina n.26 e Rita Grande n.54. Scrissi in un editoriale sulla rivista che secondo me Francesca poteva arrivare di sicuro almeno nelle prime 30 del mondo. Allora non c’erano i social a sparare a zero ma ricordo che poche settimane dopo, entrando in sala stampa agli Internazionali d’Italia incontrai il grande Rino Tommasi che, salutandomi, aggiunse con il suo classico ghigno sarcastico “Eh, eh, Enzo, stavolta l’hai sparata davvero grossa…!”.

Francesca dimostrò nel tempo che avevamo sbagliato entrambi, vincendo al Roland Garros (2010) e salendo fino al n.4 del mondo. Fatte le debite proporzioni, come si fa dunque a non essere d’accordo con Darren Cahill, che capisce di tennis qualcosa più di noi e ha guardato da vicino negli occhi di Lleyton Hewitt, Andre Agassi e Simona Halep, tutti occhi di numeri uno?


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