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Campioni internazionali

Anastasia, la finale dopo 52 Slam. Nel nome della Sharapova…

Grande talento junior a 14 anni, a 29 Pavlyuchenkova corona il sogno dell’ultima sfida in un Major. Grazie a uno psicologo, per abbattere il totem della divina Masha

di | 12 giugno 2021

Il servizio, il dritto, il rovescio, e poi la risposta, la volée, e quindi i vari effetti da dare alla palla, eppoi il fisico, certo il fisico che dev’essere reattivo e resistente a partire dai piedi, e ancora i muscoli allenati, forti e al posto giusto. Il tennis è mettere insieme le cose, tante cose, ma l’assemblaggio dev’essere supervisionato con attenzione e convinzione dalla mente, dalla colpevolezza di voler fare sacrifici, dalla determinazione a superare gli ostacoli e quindi alla totale dedizione per il raggiungimento - nella gioia, non nella sofferenza - del risultato. Il massimo risultato.

Se parti povero di qualità devi lavorare, compensare e pensare di più. Ma forse il problema più grosso è quando nasci ricco di tutto, come Anastasia Pavlyuchenkova, ben strutturata di natura, con lo sport in casa da sempre, per via di papà Sergey ex canottiere e mamma Marina, nuotatrice, con la nonna cestista professionista e il nonno mitico arbitro di basket dell’ex Unione Sovietica. Tanto che vince subito tantissimo, batte Caroline Wozniacki nella finale degli Australian Open junior, perde con Aga Radwanska in quella del Roland Garros e supera Tamira Paszek sotto il traguardo degli Us Open, diventando quindi numero 1 del mondo di categoria ad appena 14 anni.
A 15 anni ha una wild card a Wimbledon, e fa la sua bella figura battendo Cornet e Li Na; a 20 sale al numero 13 del mondo delle professioniste e vince tornei collezionandone 12, e poi naviga continuamente a buon livello inanellando quarti di finale nei Majors senza riuscire però a superare quella fatidica soglia.

Insomma, da troppo promettente a prematura, fra l’altro in una nazione che continua a sfornare talenti e ha il problema dell’abbondanza, da invidiata futura star dalle enormi aspettative a comprimaria mai protagonista, Anastasia si è distratta, si è persa nelle sue illusioni, fino ad annacquare il sacro fuoco e smarrirsi, inesorabilmente, come altri talenti molto dotati che non sono riusciti a mettere insieme i pezzi del difficilissimo puzzle chiamato tennis.

Tutta la grinta di Anastasia Pavlyuchenkova (foto Getty Images)

Oggi, dopo una lunghissima rincorsa su se stessa, alla ricerca del tempo perduto, la Pavlyuchenkova che sa dosare forza e sapienza, palle corte e servizi vincenti, bordate e traiettorie beffarde da fondocampo, un tennis di cui si è come ubriacata per quindici anni, si trova ad auto-festeggiarsi come tennista più tardiva, quella che ha impiegato più tentativi nell’era Open per arrivare a quella prima finale che molti le pronosticavano in virtù delle possibilità tecno-fisiche. Infatti è la prima a dire ad alta voce: “Io stessa, ai miei 14 anni, mi sarei chiesta come mai ci hai messo tanto?”. 

Perché Anastasia credeva fermamente di poter diventare la numero 1 anche del WTA Tour: “E ho continuato a crederlo anno dopo anno”. Anche se gli ostacoli si riproponevano inesorabili: “Mi sono venuti i dubbi. Battevo le top ten, arrivavo ai quarti Slam, sfioravo le semifinali, ma ero sempre ferma a un certo livello. Sapevo di avere le qualità per la prestazione, ma non avevo la continuità, per cui ho continuato nei miei su e giù. E tutto è stato ancor più duro perché dovevo convivere con le mie alte aspettative”.  

Ci ha messo un po’, ci ha messo tanto, Pavlyuchenkova, nella sua corsa dai 14 ai 29 anni: 37 successi sulle “top 10”, i quarti in tutti gli Slam, dove conta 52 presenze, con 122 partecipazioni nei tabelloni WTA. E alla fine ce l’ha fatta solo perché è venuta a patti con se stessa ed ha accettato il confronto con uno psicologo dello sport.

Ho tentato anche questo, per non aver rimpianti”. Ed è arrivata alla prima risposta che le serviva, quella che si portava dietro da sempre: “Lo faccio per me stessa, non c’è nessun altro, nessuno, devo trovare il mio spazio, la mia dimensione, la mia realtà separata da quella di tutti gli altri. Me lo devo dopo questa lunga strada che ho percorso. È stata dura. Sicuramente non mi aspettavo che quest’anno arrivassi in finale. Certe cose non le programmi. Ma ho creato i presupposti per il risultato: ho lavorato sodo, ho fatto tutto il possibile. Mi sono detta: “Facciamo tutto il necessario, tutto quello che puoi fare per migliorare il tuo gioco, la tua mentalità”.

E all’improvviso a Parigi, dopo McHale e Tomljanovic, ha infilato Sabalenka, Azarenka, Rybakina, Zidansek, per giocarsi con l’altro talento ritrovato, Krejcikova, il sesto Roland Garros consecutivo con una nuova regina. “Questo è l’obiettivo che ho avuto nella testa per tutto il tempo, penso che per un tennista sia l’unica cosa che abbia in realtà nella testa. Il motivo per cui giochiamo. E’ così da quand’ero junior, una bambina che stringeva la prima racchetta e aveva già questo pensiero in testa”.

Al microfono in campo, una volta proiettata nei suoi sogni più assidui che diventavano realtà, Anastasia ha confessato: “Ho desiderato così tanto potermi giocare una finale Slam che ora come ora non provo alcuna sensazione”. La spiegazione è la solita: “Il tennis è uno sport così tanto mentale… Questo è il motivo per cui è così difficile”.

Nella sua rincorsa raggiunge le italiane, Francesca Schiavone e Roberta Vinci, anche loro finaliste Slam dopo mille tentativi per mettere insieme i famosi tasselli del puzzle: “Sono felice di raggiungere queste grandi giocatrici e di entrare in quel club, ma mi piacerebbe andare oltre e ottenere di più. Sono felice, ma sono ancora concentrata per l’obiettivo massimo e sento di poter fare meglio. Almeno so che questo è quello che voglio”.

Flavia Pennetta ci ha impiegato 49 Slam per sfatare il tabù agli Us Open 2015, Anastasia ha avuto bisogno di 52 puntate per avere questa possibilità. Fra 21 giorni compie 30 anni, ma comunque non potrà impensierire il record di Flavia che si è auto-incoronata a 33 anni e 200 giorni. 

Anastasia sembra un’altra, molto più riflessiva, diversa da quella che si concentrava sul colore delle unghie intonate con quelle del gonnellino di gara. Quella che proclamava: “Non voglio essere la nuova Sharapova, voglio essere la prima Pavlyuchenkova”.

Vincendo il titolo, diventerebbe la regina russa più anziana in un Major, usurpando il record proprio della divina Masha che aveva 27 anni e 49 giorni quando alzò l’ultimo dei suoi 5 trofei Slam nel 2014. Proprio al Roland Garros…

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