Dopo la vittoria a Los Cabos, l'inglese cresciuto tra Nuova Zelanda e Stati Uniti vuole dare l'assalto ai primi 8 della Race. Forte di una grande fiducia nei propri mezzi e nella capacità di giocare il suo tennis in maniera efficace su ogni superficie
di Cristian Sonzogni | 27 luglio 2021
Dal numero 8 in giù, la Race che qualifica per le Nitto ATP Finals di Torino è un groviglio di storie e di opportunità. Una matassa che sarà difficile provare a sbrogliare in anticipo. Più probabile che la tensione rimanga viva fino a poco tempo prima di quella settimana di novembre destinata a far entrare l'Italia del tennis in una nuova dimensione.
Al numero 12 di quel ranking, oggi, c'è un giocatore che fino a poco tempo fa non si poteva nemmeno immaginare protagonista coi migliori del mondo, e che invece in questo 2021 sta trovando una costanza di rendimento invidiabile, a prescindere dalla superficie. Lui si chiama Cameron Norrie, e nel corso di questi sette mesi ha messo insieme una semifinale a Delray Beach, un terzo turno agli Australian Open, un quarto a Barcellona, le finali a Estoril e a Lione, un terzo turno al Roland Garros, la finale al Queen's, un altro terzo turno a Wimbledon e infine la vittoria – la prima della carriera – a Los Cabos.
Una striscia che impressiona per diversi motivi. Intanto, ci sono gli avversari battuti nel percorso: Fognini, Dimitrov, Khachanov (due volte), Goffin, Garin, Cilic, Thiem, Karatsev, Shapovalov. Poi, soprattutto, c'è la capacità di essere efficace sul cemento, sulla terra, sull'erba. Dote non così comune, nemmeno in tempi di omologazione delle superfici.
Cameron, nato a Johannesburg il 23 agosto del 1995, oggi residente a Londra, è in realtà un interessante mix di culture. Nato da genitori inglesi (entrambi giocatori di squash), ha vissuto per buona parte della sua vita in Nuova Zelanda (il Paese che ha rappresentato quando era uno Junior, fino al 2013), ma ha pure frequentato il college in Texas, negli Stati Uniti, mentre muoveva i primi passi nel Tour. Da tutte queste esperienze così diverse è uscito un professionista di valore, un tennista completo e deciso, con tanto coraggio che parecchie volte lo aiuta a uscire da circostanze complicate.
Non si è mai visto Norrie rinunciare a un attacco per paura, per timore di essere passato o per una situazione di punteggio particolarmente delicata da gestire. Ed è proprio questo suo coraggio che spesso disorienta gli avversari, insieme a quei colpi mancini che – dal servizio al diritto – sanno sempre mettere un po' di pepe allo scambio. Non che sia uno particolarmente talentuoso, Norrie, non è uno in grado di fare tutto con semplicità. Ma proprio dalla necessità di lavorare duramente per mettere a punto ogni dettaglio è nata la sua crescita, resa così evidente dai risultati di questa stagione.

Norrie, l'attesa è finita: Los Cabos è sua
Adesso la questione è un'altra. Può, il buon Cameron, fare un passo in più e passare dall'essere un ottimo giocatore all'essere un campione? Di top 10 che non parevano avere le stimmate del predestinato è piena la storia, e tutto sommato l'approdo di Norrie nell'élite non sarebbe un'eresia. Ma in realtà il percorso che lo separa da quella soglia è ancora lungo e complicato. Dalla sua, c'è quel tennis 'all court' che gli permette di approcciare la stagione sul cemento con lo stesso entusiasmo e le stesse aspettative di qualsiasi altro momento della stagione.
Los Cabos, in questo senso, è stato un punto di approdo (il suo primo titolo nel Tour maggiore) ma pure un inizio, perché aver centrato il bottino pieno potrebbe avergli dato quella consapevolezza e quella maturità necessarie per alzare l'asticella senza sentirsi fuori posto. “L'esperienza – ha detto il britannico dopo essersi preso il trofeo in Messico – è una grande alleata nei momenti chiave. Durante la settimana l'ho saputa sfruttare al meglio, e sono molto orgoglioso della mia capacità di migliorare match dopo match. È qualcosa su cui, con il mio staff, stiamo lavorando da tempo: imparare da ogni punto e mettere in pratica questi insegnamenti al punto successivo".
A inizio anno, quando qualcuno gli chiese chi sarebbe stata la sorpresa della stagione, Norrie non ebbe paura nell'indicare se stesso. Poteva sembrare la risposta di uno troppo sicuro di sé, quasi spocchioso, poco elegante. Invece era una risposta sincera, di uno che semplicemente si conosce molto bene. Uno che non vedeva l'ora di mostrare i suoi progressi. “Sto facendo bene le cose fondamentali – spiega – come servizio e risposta. Sto dimostrando di poter restare lucido nei momenti clou di una partita. E fisicamente non mi sono mai sentito così a posto”.
Il segreto si chiama Facundo di nome, Lugones di cognome, è argentino (conosciuto al college) ed è il suo coach dal 2017. “Tra di noi – sottolinea Norrie – si è creato ormai un feeling perfetto, un buon bilanciamento tra amicizia e rapporto di lavoro. Per me è stato un'ispirazione e un modello”. Adesso, invece, il modello per gli altri è proprio lui, l'inglese-neozelandese cresciuto in America. Un ragazzo normale che insegue un obiettivo grandissimo, senza farsi troppe domande e senza sogni esagerati, ma con una dose di coraggio che tanti colleghi, sotto sotto, gli invidiano.