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La moglie del tredici volte campione del Roland Garros si confida a Vanity Fair: “Il tennis mi piace, mi diverte, ma di certo non gioco bene come Rafael”
di Vincenzo Martucci | 09 dicembre 2020
Che cos’hanno in comune Roger Federer, Rafa Nadal e Novak Djokovic? Oltre a tutte le qualità tennistiche che conosciamo, hanno anche mogli parche coi media. Mirka Vavrinec, Maria Francisca Parellò e Jelena Ristic sono onnipresenti, almeno due, Mirka e Jelena, influenzano fortemente i compagni, ma non raccontano, non svelano, non dicono. Perciò, quando una di loro, nel caso, la signora Nadal, si concede a Vanity Fair è davvero una primizia.
Nel decennale della fondazione di beneficenza a nome del tredici volte campione del Roland Garros, la signora Nadal, 32 anni, maiorchina, ha parlato più che altro del suo ruolo nell’organizzazione creata per aiutare bambini e ragazzi a sviluppare il loro pieno potenziale, indipendentemente dall’origine e dalla situazione finanziaria.
“Ci sono entrata sette anni fa, prima come project manager e ora come direttore”. Specifica che ha studiato economia e gestione aziendale, e rivela che il nomignolo affibbiatole dalla stampa, Xisca, non le appartiene: “Nessuno mi chiama così, le persone intorno a me mi chiamano Mery”.
Al suo fianco nella quotidianità dell’organizzazione c’è, come presidente, Ana Maria, la madre di Rafa. “Siamo una fondazione gestita da persone provenienti dall’ambiente più vicino e più fidato da Rafa, abbiamo la responsabilità di adempiere la missione per la quale è stata creata: affrontare la mancanza di pari opportunità attraverso i nostri progetti, in Spagna e India. Utilizzando la pratica sportiva come strumento per trasmettere valori e conoscenze. Per cui nella maggior parte dei progetti offriamo cure personalizzate e complete, inclusi sport, istruzione e psicoterapia. Il modo per cambiare le realtà è potenziare, a partire dal principio della psicologia positiva; lavorando dalle capacità e dalle potenzialità di ciascuno”.
La Fondazione Nadal ha affiancato la Fondazione Vicente Ferrer in India: “Insieme, abbiamo deciso di creare una scuola in cui il tennis fosse uno strumento per l’integrazione sociale, di genere e di casta e in cui l'istruzione avesse un ruolo altrettanto importante. In dieci anni è stato impressionante vedere come questa scuola abbia cambiato le vite di così tanti ragazzi e ragazze ad Anantapur, una delle zone più povere dell’India”.
Mery si reca in quelle poverissime località almeno una volta l’anno: “Ricordo molto bene l’impatto che ha avuto su di me la prima volta che ci sono stata. Vivere una realtà così diversa dalla nostra e vedere quali sono le aspettative e le priorità nella vita è una sensazione difficile da spiegare. Sono rimasta scioccata nel vedere come i bambini apprezzano i vestiti e le scarpe che gli diamo: le tengono in casa come un vero tesoro”.
La signora Nadal, che è molto coinvolta nella missione, sottolinea: “Ognuna delle storie che viviamo ci ispira nel nostro lavoro e ci motiva a continuare. Poter conoscere in prima persona realtà così diverse e far parte del loro percorso di miglioramento, mi ha cambiato la vita sia professionalmente che personalmente”.
E non esclude che la Fondazione possa ottenere frutti straordinari: “Un nuovo Rafa Nadal? Formare tennisti professionisti non è l’obiettivo della scuola, ma… perché no? C’è un ottimo livello di tennis: ai bambini piace giocare, vogliono imparare”.
Di certo non è che racconta segreti quando afferma: “Mi è sempre piaciuto giocare a tennis, mi diverto, anche se non sono particolarmente brava. Certamente non come Rafael”. Che segue ormai da anni, sempre più assiduamente, insieme al folto clan Nadal in tutti gli stadi del mondo.
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