-
Campioni internazionali

L’intervistona: Matteo Berrettini dice tutto

Alla vigilia dell’ATP Masters 1000 di Madrid il n.10 del mondo, tornato al successo a Belgrado dopo l’infortunio agli addominali patito agli Open d’Australia, parla di sé e dei suoi avversari diretti, della tecnica del suo diritto, di come gestisce il suo fisico, di Sinner, della sua famiglia, della sua fidanzata e della sua casa. Parla da n.1

di | 30 aprile 2021

Matteo Berrettini è nato a Roma il 12 aprile del 1996. E' alto un metro e 96 cm e il suo peso forma è di 95 kg

Matteo Berrettini è nato a Roma il 12 aprile del 1996. E' alto un metro e 96 cm e il suo peso forma è di 95 kg

Forse perché adesso il suo sorriso brilla in mezzo a una folta barba scura. Forse perché l’abbiamo già visto vincere 4 volte, l’abbiamo già festeggiato in semifinale a uno Slam e addirittura trovato capace di qualificarsi per le Nitto ATP Finals tra i primi 8 del mondo. Forse è per l’insieme di queste cose che Matteo Berrettini, n.10 del mondo e n.1 d’Italia, viene ormai vissuto come un atleta maturo. 

E forse dipende anche dal fatto che dopo di lui sono spuntati due teenager formidabili come Jannik Sinner e Lorenzo Musetti, impressionanti nella loro capacità di giocare alla pari con i top player prima di aver compito 20 anni.

Matteo ha compiuto 25 anni lo scorso 12 aprile, ma a guardar bene come tennista “pro” ha solo un anno più di Sinner. Sì perché l’inizio del suo boom risale all’ATP Challenger di Bergamo 2018. Matteo spara i suoi servizi a 220 Kmh sul campo duro del palazzetto orobico e vince in finale su Stefano Napolitano. All’inizio di quell’anno era n.135 del mondo e nel novembre precedente (2017) aveva perso al primo turno delle qualificazioni italiane delle Next Gen ATP Finals. Nel luglio 2018 vincerà poi il primo titolo ATP a Kitzbuhel e chiuderà la stagione al n.54 del mondo.

Sinner esplode a Bergamo esattamente 12 mesi dopo, febbraio 2019. In maggio a Roma passa il suo primo turno in un ATP Masters 1000. In novembre vince le Next Gen ATP Finals all’Allianz Cloud di Milano battendo in finale Alex De Minaur, n.17 del mondo. Chiude la stagione al n.78 ma è evidente che vale già molto di più.

Questo paragone serve solo per ricordare che se Jannik si considera “un’apprendista cuoco che deve ancora pelar patate”, anche Matteo ha ancora molte cose da imparare, da migliorare, tante esperienze da fare prima di potersi dire pronto a esprimere tutto il suo potenziale.

Di fatto però questo potenziale è talmente strabordante, un servizio e un diritto al fulmicotone guidati da una testa brillante ben salda su un fisico da corazziere, che pur pagando tutti i possibili dazi all’inesperienza Matteo Berrettini è già arrivato molto in alto.

Poi c’è stato l’anno difficile della pandemia, la brillantissima ripartenza lo scorso gennaio in ATP Cup (Italia in finale e lui che batte Thiem, Monfils e Bautista Agut fermandosi solo contro un super-Medvedev) e lo strappo agli addominali nel match di Melbourne contro Khachanov che gli ha impedito di sfidare Tsitsipas negli ottavi.

Lungo stop, recupero graduale e alla prima occasione centro pieno: il quarto titolo conquistato domenica scorsa a Belgrado battendo il nuovo fenomeno russo Karatsev, che il giorno prima aveva steso Djokovic.

Matteo Berrettini alla vigilia del Mutua Madrilena di Madrid, dove lo abbiamo raggiunto via Skype, è pronto per ripartire nella scalata. Solo che lo fa avendo un’ottima visione della vetta: il campo base è la Top 10 e la fiducia scorre abbondante dentro di lui.

  La vittoria a Belgrado

Su SuperTennis abbiamo provato ad analizzare la tua vittoria a Belgrado con il titolo: "Ecco perché Matteo è riuscito dove Nole ha fallito". Però sicuramente la tua spiegazione avrà una marcia in più…

“Io e Djokovic abbiamo due modi di giocare molto diversi. Io baso molto il mio gioco sull’aggressività (anche se ci sono momenti in cui purtroppo bisogna difendere). Novak invece è un po’ più un contrattaccante da fondo, a lui piace anche difendere. Gli piace molto. E’ anche uno dei motivi per cui la partita tra lui e Karatsev è stata così spettacolare. Tutti e due spingevano, tutti e due difendevano bene, quindi... scambi lunghissimi. Una partita di alto livello, davvero splendida. Però credo che, a parte il fatto che Djokovic ha avuto 26/27 palle break, quindi avrebbe potuto vincere e nessuno avrebbe detto nulla, a lungo andare forse Karatsev è stato più aggressivo e la cosa ha pagato. Io ho cercato di non permetterglielo. Soprattutto nei miei turni di servizio e nel tie-break del terzo set. Ho cercato di toglierli quel tempo che gli serviva per spingere, per ‘far male’ e cercavo di prendermelo io. Penso sia stata questa la chiave del match”.

Matteo Berrettini con il trofeo vinto a Belgrado (foto Getty Images)

Karatsev è stato più aggressivo di Nole. Io non gliel'ho permesso.

Ha fatto un certo effetto vedere Karatsev sovrastare Djokovic da fondo campo. Forse è dipeso dal fatto che Nole gli dava due palle uguali, col diritto e con il rovescio e gli permetteva di andare sul ritmo mentre tu con il diritto gli toglievi tempo, accelerando molto, e di rovescio con il back rallentavi, giocando profondo…

“Sì, le variazioni sono una mia caratteristica, sia in fatto di angoli che di tagli. Però credo soprattutto di aver servito molto bene. Spesso non si entrava neanche nello scambio. A parte i game in cui lui mi ha brekkato. Però in quel caso c’era anche merito suo, ha risposto molto bene. Comunque sono riuscito a togliergli un po’ di fiducia perché sapeva che nel mio game di servizio “prendeva poco”.  Quando toccava a lui servire aveva un po’ più di timore. Non so se da fuori si è visto ma ha cominciato a variare tanto la “prima” con il "kick" perché non voleva sbagliare e dover servire la “seconda”. In quei frangenti si innescano dei meccanismi che da partita a partita, da giocatore a giocatore cambiano. Comunque Karatsev è uno che gioca molto bene di ritmo, noi diciamo che è uno che gioca molto bene “dal fianco”. Quando la palla gli arriva pulita all’altezza del fianco è un giocatore pericolosissimo e lo sta dimostrando dall’inizio dell’anno. Io sono entrato in campo con l’dea di mischiargli un po’ le carte, di non fargli giocare mai due palle uguali”.

Aslan Karatsev impegnato contro Berrettini nella finale di Belgrado

Matteo e gli avversari Top 10

 

A parte i mostri sacri Federer, Nadal e Djokovic, che sono di un’altra generazione e nei prossimi anni dovranno per forza di cose dare spazio alla vostra, come ti trovi dovendo affrontare gli altri Top 10? Cominciamo da Daniil Medvedev…

“E’ un giocatore fastidioso, non solo per me. Ha una tecnica particolare: la palla, soprattutto con il rovescio, gira quasi al contrario. Arriva quasi uno slice. Gioca molto profondo, da lontano riesce a rispondere tantissimo e profondo, è difficile da sfondare, da mettere in difficoltà. Io che sono uno che gioca “in spinta”; se però vedo che spingo, che gioco bene ma dall’altra parte non incido, non ottengo il risultato sperato, la cosa che mi mette sotto pressione. In più Daniil serve molto bene. Insomma non è già arrivato al n.2 per caso”.

Con Stefanos Tsitsipas nei faccia a faccia sei in svantaggio…

“Io e Tsitsipas siamo già due giocatori un pochino più simili. Serviamo bene tutti e due e giochiamo con rotazioni. Usiamo lo slice, la palla corta, veniamo a rete. Ci assomigliamo e le partite che abbiamo giocato (la prima volta eravamo “bambini” nel 2017 e poi l’Australian Open 2019) sono state di alto livello. Di base a nessuno dei due piace giocare contro l’altro: però è una bella partita”.

Nitto ATP FInals 2019: Matteo con Zverev, Medvedev, Thiem, Tsitsipas, Djokovic, Federer e Nadal

Anche con Zverev sei ancora in svantaggio, 1-2…

“Con Sasha ho giocato due volte a Roma e una a Shanghai, situazioni e superfici diverse. Sasha è diverso sia da Medvedev che da Tsitsipas: serve molto, molto bene (a Shanghai servì con percentuali altissime, a Roma faceva un po’ più fatica), anche la ‘seconda’, che è pesante, difficile da aggredire perché arriva con tanta rotazione. Da fondo campo è un po’ simile a Medvedev, nel senso che è meno aggressivo di Tsitsipas, fa un po’ meno gioco. Però con un servizio come il suo, spesso la palla dopo riesci a giocarla comunque in modo aggressivo. In risposta si mette lontano e cerca di farti sbagliare perché comunque copre il campo benissimo nonostante la sua stazza. E’ un giocatore molto forte, però ci si gioca”.

Perché, secondo te, ha così tanti alti e bassi al servizio?

“Al servizio, perché sia un’arma importante, devi anche rischiare. Più rischi, più puoi sbagliare. Bisognerebbe entrare un po’ nella sua testa. E’ vero che basa molto la sua forza sul servizio però da fondo è molto solido, dunque anche nelle giornate in cui la battuta non va riesce comunque a portare a casa le partite”.

Non mi pare che ti sia mai capitato di fare tanti doppi falli come a Zverev…

“A me capita di calare nella percentuale di “prime”, che nel mio gioco, secondo me, influisce ancora di più dei suoi doppi falli, perché mi obbliga a scambiare di più, a fare più fatica e quindi poi tutto il gioco ne risente. In quelle giornate finisce che nei giochi di risposta sono un po’ più stanco”.

Con Rublev sei in vantaggio 3-2…

“Con Andrey facciamo sempre delle bellissime partite: Us 2019, Us Open 2020, Vienna. E’ un giocatore che ti toglie il ritmo: se tu tiri forte, lui cerca di tirare più forte ancora. Gli piace comandare gli scambi, spingere; quasi non accetta di andare in difesa e cerca di uscirne subito con una palla più forte. Ci incastriamo bene ed escono belle partite. Io mischio un po’ le carte, uso il back e le traiettorie, lui invece cerca di portarla sul suo terreno. E’ una specie di braccio di ferro. E’ molto forte ma non mi dispiace giocarci contro”.

Anche con Thiem, che di questi è l’unico che ha già vinto uno Slam, sei in vantaggio, 3-2…

“Anche con Dominic escono grandi match. La prima volta a Parigi, quando lui fece finale, ci ho perso in quattro set. Abbiamo giocato una bella partita: mi ricordo che il suo allenatore dell’epoca mi aveva detto: “Tu diventerai Top Ten” e io ho pensato: sì vabbè, questo mi sta prendendo in giro…. Però come caratteristiche Thiem è uno con cui mi piace giocare perché serve bene ma non è devastnte come Zverev, gioca aggressivo però gli piace anche stare nello scambio. Quindi il match-up mi piace: quando lo devo affrontare lo rispetto tantissimo ma so che posso fargli male”.

8062BDE7-EAC2-45B8-8B89-144646AD75A3
Play

Con Rublev se tu tiri forte, lui cerca di tirare più forte ancora. E' una specie di braccio di ferro.

Matteo, la tecnica, la tattica e il fisico

Ivan Ljubicic, il tuo manager, ex n.3 del mondo ha dichiarato: “Con il diritto di Matteo giocherei ancora e sarei tra i primi 10 del mondo”. Non è azzardato dire che il tuo è il diritto più potente devastante del circuito. Che differenza c’è tra il tuo diritto e quello di Nadal, di Federer e di Del Potro, giusto per prendere tre riferimenti di valore assoluto?

“Rafa imprime tanta rotazione ma la usa per mandare gli avversari lontano dal campo. Lui potrebbe giocare un po’ più piatto ma usa quel gancio mancino per aprirsi il campo per poi chiudere con l’inside out. Usa molto bene l’inside out mancino, sul diritto dei destrorsi. Lì lascia veramente andare il braccio.

Federer usa un po’ tutto: lo spin per prendere tempo e poi il diritto piatto per chiudere. Del Potro invece gioca più piatto: forte, profondo per massacrare gli altri. Io sono un po’ un mix: uso la rotazione di Nadal ma non con quella parabola. Cerco di “fare male” sin da subito, tanto è vero che anche sul veloce il mio diritto è efficace, non è condizionato dalla rotazione La presa? E’ una western ma non estrema come quella di Jack Sock (interprete di uno dei diritti più devastanti del circuito n.d.r.)”.

L'impatto del diritto di Matteo Berrettini: nell'immagine è evidente il suo tipo di presa, una "western"

Qual è l’aspetto su cui stai lavorando più con Vincenzo Santopadre, Umberto Rianna e il tuo team, il prossimo step che vuoi fare?

“Non ci sono segreti ma tante piccole cose. Quello che cerchiamo di fare è prendere più campo e più fiducia dalla parte del rovescio perché sento che c’è margine di miglioramento. A Belgrado credo di aver giocato molto bene di rovescio. Come dicevi prima, ho giocato profondo con lo slice e ho cercato di fare più male con il rovescio lungolinea. Credo che sia una delle cose che posso aggiungere al mio gioco. Insieme al fatto di sentirmi più a mio agio quando vado a rete perché il mio diritto fa male: è un colpo che porta gli avversari lontano dal campo e spesso mi arriva una palla che potrei chiudere al volo. E’ che non ho giocato tante volée in vita mia perché quando ho una palla in mezzo al campo da giocare con il diritto… normalmente non torna. Nel senso che o faccio un vincente o sbaglio, non cerco di fare il classico approccio. Tiro una pallata”

8FFCA704-EDEA-4BEA-A01A-00220DE17317
Play

Non ho giocato tante volée in vita mia perché quando ho una palla in mezzo al campo da giocare con il diritto… normalmente non torna.

Al primo turno di un torneo per te è peggio incontrare un super battitore come il gigante Opelka o un super asfissiante da fondo alla Casper Ruud?

“Dipende tanto dalla situazione, dal torneo, dalla superficie, da come mi sento. E’ ovvio che contro uno come Opelka (che quando ci ho giocato mi ha sorpreso in positivo per quanto gioca bene nei colpi a rimbalzo da fondo) senti di avere meno controllo su quello che sta succedendo. Hai la sensazione che tutto possa girare in un momento. Contro il ‘genere Ruud’ senti che devi fare qualcosa sul piano tattico perché la partita si gioca su alcuni punti che dipendono dalle tue scelte. Con Opelka invece magari fai le scelte giuste ma lui al tie-break ti piazza tre ace e poi incoccia una risposta giusta, fa il minibreak e ciao…”. 

Hai dichiarato: “Non è semplice strapparsi l’addome e poi tornare a servire”. Sei fortissimo e fragile al tempo stesso. Come gestisci questa tua condizione?

“Ho imparato a gestirla nel tempo. Quando ero piccolo ero solo fragile e non ero forte. Poi piano piano ho costruito la corazza. Sono un ragazzo che è cresciuto tardi. I primi peli di barba sono arrivati dopo i 20 anni. Prima dei 20 anni dovevo fare attenzione a fare pesi. Adesso sono un giocatore abbastanza muscolare, abbastanza massiccio e devo fare attenzione ma sicuramente sono più i benefici che vengono da questa costituzione fisica che i problemi. Devo prevenire i guai che possono capitare nel tennis: le infiammazioni e altri traumi dovuti al fatto che giochiamo tanto, che colpiamo tantissime palline, spendiamo tantissime ore in campo. Credo che una delle motivazioni per cui mi sono infortunato in Australia è che, con i limiti della quarantena, non ho servito abbastanza prima di iniziare lo Slam. Il corpo non era abituato a quel tipo di sforzo ripetuto e mi sono fatto male. Non avevo mai sofferto di queste problematiche. Però bisogna imparare a gestire anche questo. Fare bene la riabilitazione quando serve e dedicare tempo alla prevenzione perché alla fine ti accorgi che i problemi fisici ce li hanno un po’ tutti. Si tratta di vedere chi li gestisce meglio e chi peggio. E come  possono condizionare la tua tecnica”.

Sono un ragazzo che è cresciuto tardi. I primi peli di barba sono arrivati dopo i 20 anni.

Quindi hai un programma di prevenzione quotidiano?

“Tutti i giorni faccio almeno un’ora e mezza di trattamento con il fisioterapista a fine giornata, con stretching e tutti i relativi esercizi. La mattina faccio mobilità, sempre con il fisio. Nel giorno della partita metto dentro anche esercizi di addominali, core stability, esercizi per le caviglie. Uso il riscaldamento per fare un’attività fisica che mi è utile. Almeno due ore e mezzo al giorno di questo tipo di lavoro le devi sempre considerare”.

Luglio 2018: Matteo Berrettini con il trofeo del suo primo titolo ATP, conquistato a Gstaad

Chi vince tra te e Sinner in allenamento?

“L’ultima volta abbiamo fatto un set pari. Nel senso che il primo giorno ho vinto io, il giorno dopo lui. Quindi pari”. 

Come spiegheresti a un amico al bar la differenza tra il tuo modo di giocare  e il suo?

“Il mio tennis è più basato sul servizio e sulle variazioni: uso di più lo slice, la palla corta. Lui è più una ‘macchina’. Mi verrebbe da dire ‘monocorde’ ma non è la definizione giusta. Diciamo che Jannik gioca un po’ più alla Djokovic, ma è più aggressivo di Nole, cerca di fare più gioco. Secondo me il suo colpo migliore è il rovescio, si muove molto bene e cerca di essere molto aggressivo anche quando sono gli altri che cercano di spingere. Siamo due giocatori diversi ma facciamo entrambi dell’aggressività la nostra caratteristica principale”.

Allenamenti a Madrid: in campo Matteo Berrettini, con il coach Vincenzo Santopadre, e Jannik Sinner

Matteo e la famiglia, Ajla,

la casa. E… il 2021

 

A Belgrado hai conquistato la prima vittoria davanti ai tuoi genitori e l’hai voluto sottolineare. E’ diverso vincere con loro in tribuna?

“Mio padre era venuto a Monaco di Baviera nel 2019 quando avevo perso 7-6 al terzo in finale con Garin ed era rimasto un pochino con l’amaro in bocca. Quando ho vinto il primo torneo a Gstaad ero con il mio amico Marco Gulisano e la mia ex-ragazza. I miei genitori, che sarebbero venuti poi a Kitzbuhel, avrebbero potuto anticipare per arrivare ma io ho detto: fermi, non cambiamo nulla. Stava andando tutto per il verso giusto quella settimana e per me era una questione mentale: io stavo lì, senza allenatore, non volevo modificare nulla della routine che avevamo instaurato giorno dopo giorno. E’ andata bene e ovviamente poi mi è dispiaciuto un po’ che non fossero con me. Nelle altre occasioni (Budapest, Stoccarda 2019) non erano potuti venire. Questa volta ho pensato che potesse essere quella buona”.

Mentre eri in campo ti capitava di pensare che c’erano i tuoi in tribuna o una volta cominciato il match uno non ci pensa più?

“Ci pensavo. E li vedevo. Se fosse stata la prima finale ATP mi sarei emozionato di più. Col fatto che era la quinta riesco a gestire meglio tutte le cose e il fatto che loro fossero lì mi dava solo spinta e non mi toglieva attenzione. Anzi, riuscivo a sentirli e mi piaceva il fatto che in un periodo come questo in cui non si poteva tanto viaggiare ed è difficile “entrare nelle bolle” potevo averli vicino. La spinta era ancora più grande”.

Matteo Berrettini sul campo di allenamento a Madrid con Ajla Tomljanovic

Io mi stresso solo per due cose: quando gioca Ajla e quando gioca mio fratello Jacopo.

Il fatto che Ajla (Tomljanovic), la tua compagna, sia una tennista aiuta o complica?

“Credo che aiuti il fatto che lei capisca quello che sto facendo al 100%. E soprattutto quando c’è qualche problema all’interno del campo o extra sa qual è il modo per affrontare la cosa, perché si tratta di situazioni che anche lei affronta in prima persona. Non aiuta il fatto che lei gioca e quindi io mi stresso sui suoi risultati. Se facesse un’altro mestiere non sarei così stressato. Io mi stresso solo per due cose: quando gioca lei e quando gioca mio fratello Jacopo”.

Dove ti senti di più a casa?

“Casa casa, è a Monaco. Le rare volte che capito a Roma finisco per stare dai miei. Poi diventano per forza 'casa' anche le stanze degli alberghi. Purtroppo o per fortuna riesco a sentirmi un po’ a casa anche così. Nel tempo uno si abitua a vivere in questo modo. Non mi dispiace a stare a casa di Ajla in Florida ma quando arrivo a casa mia a Monte-Carlo, dove ho le mie cose, mi rilasso sul mio divano, mi sento di riposare davvero".

Qual è l’oggetto che ti manca di più quando sei in giro?

“Ti direi il mio letto”

Che cosa ti aspetti da questo 2021, ripartito da Belgrado, alla vigilia di Madrid?

“Cosa mi aspetto… Beh, se aspetto non arriva niente: ogni cosa va conquistata. Per ora comunque voglio pensare solo alla stagione sul 'rosso'. I miei primi obbiettivi, cominciando con una buona prestazione già qui a Madrid, sono fare bene a Roma, agli Internazionali BNL d’Italia, e andare più avanti possibile a Parigi. So che non posso fare tutte le settimane un grande risultato, è difficile. Però sulla terra battuta mi trovo bene, mi piace giocarci e la vittoria a Belgrado mi ha dato davvero fiducia. ”.

Stoccarda 2019: il primo titolo ATP sull'erba per Matteo Berrettini che supera in finale il canadese Felix Auger Aliassime

Budapest, aprile 2019: Matteo Berrettini, allora n. 55 del mondo, conquista il suo secondo titolo ATP, battendo in finale il serbo Krajinovic

La racchetta di Matteo Berrettini è una Head Extreme Pro, incordata con sintetico Signum Pro Firestorm a 23/22 kg

Loading...

Altri articoli che potrebbero piacerti