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Campioni internazionali

Rodionov chiede strada, nel nome di Frana e di Thiem…

Battendo in rimonta Chardy, dopo aver salvato pure un match-point, l'austriaco non ha firmato soltanto il primo successo in uno Slam ma anche il primo in assoluto nell’ATP Tour: lui che, a 21 anni, è un habitué dei challenger

di | 28 settembre 2020

Jeremy Chardy e Jurij Rodionov (foto Getty Images)

Jeremy Chardy e Jurij Rodionov (foto Getty Images)

 “Tutto sta nella testa”, dice, ridendo fra sé e sé, Jurij Rodionov, seduto in panchina, felice, dopo l’indimenticabile rimonta di 4 ore e 36 minuti, per 3-6 4-6 7-6 (6) 6-4 10-8, contro il numero 64 del mondo, Jeremy Chardy, nel primo turno del Roland Garros, salvando un match point e mancandone sei. Non è soltanto il primo successo in uno Slam è anche il primo in assoluto sull’ATP Tour per lui che, a 21 anni, è un habitué dei tornei Challenger. Da lì ha spiccato il volo, aggiudicandosi a inizio stagione Dallas (battendo Seppi, Koepfer e Kudla) e poi Morelos prima che il Covid-19 chiudesse le porte anche allo sport.

“Fermarmi è stato molto frustrante, ma è stato un problema di tutti, accettare la decisione e le circostanze. Il forzato stop mi è comunque servito per riposare e ricaricarmi. Quando giochi tornei per 30 settimane l’anno, passare più tempo con i genitori ti rigenera. Soprattutto avendo la consapevolezza che avrei potuto ricominciare a giocare sapendo che mi ero fermato ad un livello molto alto”.

Invece, alla ripresa, nei Challenger italiani di Todi, Trieste e Cordenons, ha rimediato tre sconfitte al primo turno, e non s’è rinfrancato con le due vittorie di Iasi, in Romania, inficiate dal ko contro il numero 258 del mondo, Mathias Bourgue. Ma, una volta al Roland Garros, ha infilato Matteo Viola, Safiullin e Oefner - col quale ha condiviso tanti allenamenti durante il lockdown -, per poi proporsi al test-Chardy nel tabellone principale e ora sfidare nel secondo turno Norbert Gombos.

Jurij, che è alto 1.90, serve bene ed è un giocatore a tutto campo con nette proprensioni offensive, è nato a Norimberga, in Germania, dove i genitori bielorussi hanno cercato la terra promessa e, a 4 anni, gli hanno messo in mano la prima racchetta, ma ha abbracciato la bandiera d’Austria, dove si è trasferito a 16 anni. Con una passione dichiarata per la Gran Bretagna, dalla fede calcistica per l’Arsenal, al torneo tennistico preferito, Wimbledon, transitando per l’inglese che parla fluentemente come il tedesco e il russo. Ma questo miscuglio di lingue e di culture non gli bastava, nella girandola della sua vita.

”Il 2018 è stato un anno brillante per me, ma il 2019 non lo so. Ho solo dimenticato come giocare a tennis e mi sono sentito un po’ perso. Così, ho fatto un sacco di cambiamenti”. A gennaio s’è affidato all’ex top 30 argentino (finalista in doppio a Wimbledon 1981), Javier Frana, mancino come lui, e ha scalato 200 posti in classifica: dal 362 di febbraio al 168 di marzo. “Ero convinto che nessuno mi conoscesse meglio di me stesso e che dunque le decisioni le decisioni migliori le avrei prese da solo. Invece, ascoltare le cose da un diverso punto di vista può fare molto bene e in questo mese ne ho avuto la prova. Accanto a me c’è un allenatore esperto e questo fa la differenza, soprattutto a livello mentale. Sono sempre stato convinto di essere un buon giocatore, il problema è che spesso non riuscivo ad esprimere il mio miglior tennis”.

Al resto, all’organizzazione generale di un tennista professionista, ci ha pensato Thiem, non Dominic, ma suo padre Wolfgang: “Lui e Javier mi danno una grande spinta, se sto zitto e li ascolto”.

Alto e potente, Jurij ha, da sempre, come idoli, Safin, Federer e Nadal. Ma ora si esalta nella scia di Thiem: “Grazie a lui, in Austria, c’è un’enorme nuova ondata di emozioni per il tennis. Vederlo vincere un torneo così importante come gli Us Open ha dato una grande motivazione a tutti gli altri tennisti della nazione. Siamo stati tutti molto felici per lui, questo mi aiuta psicologicamente e mi dice che devo ancora giocare il mio miglior tennis, devo continuare a migliorare la mia strada e continuare a lottare”.

Rodionov era già fuori di sé dopo aver superato le qualificazioni di Parigi, peraltro battendo al match decisivo Oefner, un delicatissimo derby: ”E’ irreale, quel che provo è difficile da descrivere, raggiungere per la prima volta il tabellone principale di un torneo del Grande Slam, mi dà la sensazione di aver fatto qualcosa di grande. Battere poi un compagno di allenamenti, uno col quale ho diviso tante cose, compresa una sana rivalità, rende tutto ancor più speciale. E mi rende ancor più felice di esserci riuscito”. Quanto si sente carico, oggi? “Non so che cosa potrò fare, e non so quando, tutto quello che so è che sono un combattente, amo questo sport e darò il meglio per raggiungere la cima”.

 


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