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Campioni internazionali

Il ritorno di Duckhee Lee, il tennis nel silenzio

Sordo dalla nascita, il 22enne coreano aveva raggiunto la posizione numero 130 Atp a soli 18 anni. Nel corso del 2020, alcuni problemi fisici lo hanno bloccato ai box, proprio mentre la pandemia svuotava gli stadi e obbligava tutti a giocare nel silenzio. Adesso, da San Pietroburgo, Lee ricomincia la sua corsa

di | 08 marzo 2021

Uno dei cambiamenti più radicali e più impattanti del tennis nella pandemia è relativo all'assenza del pubblico. Nella maggior parte dei tornei si gioca nel silenzio totale anche tra un punto e l'altro, una condizione assolutamente anomala per i professionisti, abituati al sostegno della gente e alla gratificazione di un applauso alla fine di un punto conquistato.

Questa situazione che ormai si protrae – con poche eccezioni – da diversi mesi, è comunque accolta in maniera diversa da atleti di diversa natura: c'è chi tutto sommato la accetta e prova a farne un punto di forza, c'è chi invece proprio non la sopporta. E poi c'è chi, nel silenzio, ci sta da sempre. Si chiama Duckhee Lee, è coreano, è sordo dalla nascita e proprio qualche giorno fa ha fatto il suo rientro nel Tour dopo un anno esatto di assenza, giocando il Challenger di San Pietroburgo e perdendo all'esordio contro Roberto Quiroz. 

L'ultima apparizione di Lee risaliva alla sfida di primo turno di Davis in Sardegna contro l'Italia: era il 6 marzo 2020, e sulla terra di Cagliari Fabio Fognini lo superò in due set. Quello fu il primo evento a salvarsi sì, ma ad andare in scena a porte chiuse. Poi, di lì a poche ore, sarebbe arrivata la cancellazione di Indian Wells e quindi la sospensione a tempo indeterminato dell'intero circuito.

Duckhee Lee non è più tornato in campo per un evento ufficiale nel corso del 2020, mentre i suoi colleghi sperimentavano ciò che lui conosce molto bene: un tennis fatto di silenzi e di solitudine portata all'estremo. Qualche acciacco fisico lo ha costretto ai box più tempo del previsto, ma lui scalpitava per tornare, documentando tutto il suo impegno quotidiano attraverso i propri canali social, dove si identifica con un nome profilo che è la sintesi del suo pensiero: 'mind effort'.

Grande appassionato di arte, di letteratura e di poesia – tanto da prevedere una visita al museo più importante di ogni città che lo ospita per il tennis – Lee ormai da tempo non è più solo una presenza folkloristica, come poteva sembrare al suo avvento nel Tour, quando gli articoli che ne tracciavano il profilo sorvolavano sulle sue qualità tecniche, raccontando una storia che pareva buona solo per il libro cuore. Lee, in realtà, è un giocatore dalle qualità straordinarie, come peraltro molti suoi colleghi hanno cercato di far notare, sollecitati sull'argomento.

“Questo ragazzo – spiegava tempo fa Rafael Nadal – è un esempio di dedizione da cui tutti noi dovremmo prendere spunto”. Mentre Andy Murray si spingeva oltre, portando ad esempio una situazione concreta per spiegare la sua meraviglia: “Poniamo il caso – diceva lo scozzese – che io mi metta a giocare un torneo con gli auricolari che mi sparano musica a palla nelle orecchie, in modo tale che io non possa sentire il rumore della pallina all'impatto con le corde: dubito che riuscirei a centrare due colpi di fila”.

Duckhee Lee, invece, non soltanto ce la fa, ma lo fa talmente bene da essere arrivato a un passo dai top 100 Atp. Nell'aprile del 2017, quando di anni ne aveva soltanto 18, era già numero 130. Che sarebbe stato un risultato straordinario pure per un normodotato, figuriamoci per un ragazzo sordo. Tra le sue vittime dell'epoca ci sono personaggi come il polacco Hubert Hurkacz (oggi numero 30 Atp), il serbo Miomir Kecmanovic (numero 42), il canadese Vasek Pospisil (numero 67).

Ma pure Matteo Berrettini e Andrey Rublev ci persero un set, rischiando pure di perdere la partita. Così oggi quel numero 288 accanto al suo nome non può certo renderlo soddisfatto. “Tornare al lavoro – ha scritto sui social nel momento in cui si è rimesso in campo – è un privilegio. Tornare a giocare un torneo, una liberazione. Tante persone hanno sofferto con me in questi mesi, i miei genitori, il mio coach, i miei amici. Ma adesso sono pronto a lottare di nuovo per tornare dove ero”. 

Le massime e i pensieri tutt'altro che banali si sprecano, negli interventi del ragazzo di 22 anni cresciuto a Seul. Un ragazzo che nella sua condizione particolare ha trovato la sua forza. Fin da quando era bambino, i genitori si sono convinti che sarebbe stato meglio farlo crescere come una persona normale, non come una persona che necessitava di aiuto. Così piano piano Lee ha imparato a leggere il labiale, ha imparato a comunicare a suo modo, trovando nel tennis – sport solitario per eccellenza – il suo ambiente ideale.

Un ambiente che adesso, complice la pandemia, diventa ancora più vicino alle sue corde. Bisognerà dargli il tempo di riprendere il ritmo partita, bisognerà lasciargli lo spazio per ritrovare quelle sensazioni che lo avevano accompagnato nel momento in cui si faceva largo come il miglior diciottenne dell'intero Tour mondiale. Poi, c'è da giurarci, Duckhee Lee continuerà a stupire. E mentre molti si continueranno a lamentare, dell'assenza di pubblico fino a che vivremo della pandemia, del rumore del pubblico quando tornerà, lui penserà soltanto al modo migliore per colpire.

Senza poter ascoltare il rumore della palla, senza ascoltare quell'out dell'arbitro o del marchingegno elettronico che gli ha tolto pure la possibilità di vedere il braccio alzato del giudice di linea. Ma con una forza d'animo che – come scrive lui stesso – permette 'solo a quelli che affrontano grandi difficoltà di poter approdare a grandi traguardi'.

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