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Campioni internazionali

Del Potro, Federer, Tsonga: chi ha detto che il tennis non è olimpico?

Malgrado le distrazioni degli altri grandi appuntamenti stagionali, anche a Tokyo lo sport delle racchette conferma la predisposizione alle grandi battaglie a cinque cerchi

di | 25 luglio 2021

Andy Murray in campo ai Giochi di Tokyo 2020 (foto Getty Images)

Dicono, diciamo, ci sono anch’io, che il tennis è meno olimpico, come sport perché dipende meno dai Giochi di altre discipline: ha altri appuntamenti importanti, tutto l’anno e tutti gli anni, come i quattro Slam, i tornei più tradizionali come Roma e quelli più storici, significativi (e ricchi di premi e di punti in classifica) come le ATP Finals di fine stagione. Che quest’anno peraltro il 14-21 novembre sbarcano per la prima volta in Italia e rimarranno al Pala Alpitour per almeno cinque anni.

Dicono che, come il golf, il tennis è uno sport troppo professionistico per nutrirsi degli ideali sentimentali più puri ed esprimersi quindi a massimo ad un’Olimpiade. Da cui le tante, e frequenti, rinunce importanti ai Giochi estivi, che non vengono addolcite dalle sporadiche presenze delle super star votate più che altro dal desiderio di colmare la casella vuota della luccicante bacheca di trofei di casa. Dicono, ma non sottolineano che la stagione del tennis è talmente stressante che il torneo olimpico, così coinvolgente, così impegnativo in nome della propria nazione, com’è quello a cinque cerchi, possa diventare la classica goccia che fa cadere il vaso, mandando in tilt fisici e teste già sotto pressione.

E comunque si sbagliano, perché per fortuna lo sport non è un scienza esatta. Men che meno il tennis. Per cui, se alla natura stessa di uno sport individuale per eccellenza, ci aggiungi il carattere di campioni così tanto legati al proprio ego, ci sommi il fattore-bandiera, cioé la patria spesso trascurata per fare il giramondo dalla più tenera età, e ci metti anche un spruzzata di orgogliosa sfida alle altre discipline ai Giochi (e relativi campioni), ottieni una miscela più esplosiva della nitroglicerina.

Marin Cilic in campo ai Giochi di Tokyo 2020 (foto Getty Images)

L’ultima dimostrazione viene a Tokyo dal croato Marin Cilic, uno dei pochi che negli ultimi quindici anni s’è opposto negli Slam allo strapotere dei Fab Four, Federer, Nadal, Djokovic e Murray, che, dopo aver perso il primo set contro Joao Menezes, ha recuperato da 4-5 al secondo set, poi ha sperperato un vantaggio da 5-0 e dopo una ubriacatura di undici match point -mancati e salvati - nel terzo set, ha avuto la meglio con un epico 6-7 (5) 7-5 7-6 (7) dopo 3 ore e mezza da raccontare ai nipotini.

Juan Martin Del Potro con l'argento conquistato ai Giochi di Rio 2016 (foto Getty Images)

Non è la prima volta che, alle Olimpiadi, i tennisti si trasformano in gladiatori. Alla vigilia dell’esordio ai Giochi, che potrebbero colmare con l’oro in singolare una lacuna nel suo già incredibile diadema di successi, il numero 1 del mondo, Djokovic, ironizzava infatti sull’assenza della sua bestia nera olimpica, Juan Martin Del Potro, che l’ha stoppato verso il gradino già alto del podio a Wimbledon 2012, vietandogli il bronzo, e a Rio 2016 fermandolo clamorosamente già al primo turno, con due durissimi tie-break.

Del resto, il numero 1 dei tennisti più sfortunati della storia, proprio ai Giochi s’è riacceso più volte, bruciando letteralmente le speranze di altri due grandissimi campioni come Roger Federer e Rafa Nadal. A Londra 2012, Del Potro trovò l’ispirazione nell’impresa di secondo turno di Jo Wilfried Tsonga che ebbe la meglio su Milos Raonic dopo un pazzesco 25-23 al terzo set, il più lungo ai Giochi, con tre ore di durata. Così, in semifinale, una volta contro il Magnifico, l’argentino dal micidiale uno-due servizio-dritto, si batte come un lrone, arrendendosi soltanto per 19-17 al terzo set. Minò però a tal punto le riserve psicofisiche dello svizzero delle meraviglie dopo quelle 4 ore e 26 minuti di batti e ribatti - il più lungo match di tre set dell’era Open - che poi Roger non riuscì proprio ad avere la meglio in finale su Andy Murray che aveva appena superato su quello stesso campo nel torneo di Wimbledon tradizionale.  

Il podio dei Giochi di Londra 2012

Sia Federer che Del Potro non potranno più dimenticare quella partita così equilibrata, bella e combattuta. Roger non ha più coronato il sogno dell’oro olimpico di singolare da aggiungere a quello di doppio conquistato in coppia con l’amico Stan Wawrinka, Juan Martin pianse e si disperò all’idea di aver fallito una simile occasione. Si prese solo quattro anni dopo, ancora ai Giochi olimpici, a Rio 2016: a dispetto di altri infortuni e altri stop, in semifinale, quando sembrava spacciato al cospetto di Nadal, sospinto in modo impressionante dal pubblico, l’orgogliosissimo argentino giocò un match straordinario e riscattò la delusione del 2012 piegando il mancino di Spagna per 5-7 6-4 7-6 dopo tre ore di un braccio di ferro selvaggio e cruento. Anche se poi nella finale per l’oro si arrese ad Andy Murray. 

A proposito del baronetto britannico per meriti sportivi. Quando c’è in ballo l’ideale olimpico, non parliamo qui tanto di bandiera, visto il fortissimo senso di appartenenza che Andy ha per la natìa Scozia, Murray dà ancora di più. La riprova, a parte quei due ori consecutivi, 2012 e 2016, arriva dal doppio di Tokyo, dove l’eroe brit, pur menomato dalla terza operazione alle anche, ha appena firmato l’impresa del torneo, eliminando al primo turno, insieme al meno noto Joe Salisbury, una delle grandi speranze di medaglia di Francia, la seconda coppia del torneo, Herbert-Mahut. 

Quando si dice lo spirito olimpico dei tennisti!

Andy Murray con il primo dei suoi due ori olimpici vinto ai Giochi di Londra 2012

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