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Campioni internazionali

Behind the racquet, la vita oltre il tennis

Martina Trevisan è l'ultima azzurra ad aver lasciato la propria firma sul blog creato dal tennista americano Noah Rubin. Con i volti seminascosti dietro alle loro racchette, i giocatori svelano i momenti difficili di esistenze che spesso, gli appassionati, non conoscono così in dettaglio

di | 05 maggio 2021

'Everyone has a story', tutti hanno una storia. E le storie del tennis non necessariamente sono storie di successo. Meglio ancora: nemmeno le storie di successo, in fondo, sono storie facili. Noah Rubin lo sa benissimo: nato il 21 febbraio 1996 a Long Island, Stati Uniti, ex promessa del movimento a stelle e strisce, oggi Noah staziona al numero 283 della classifica mondiale, con un best ranking non eccezionale di numero 125 che risale ormai a tre stagioni fa.

Eppure, nel mondo della racchetta, Rubin è conosciutissimo, forse addirittura il più popolare tra i colleghi, colui che raccontando le vite degli altri si è costruito quell'identità che aveva cercato, senza successo, nei primi anni di carriera. Il suo progetto si chiama 'Behind the racquet' e nasce nel gennaio del 2019. Obiettivo: far emergere le vicende complesse dietro ai successi (e agli insuccessi) dei professionisti. “Perché mi sono accorto – spiegava l'americano all'epoca della presentazione – che molti spettatori hanno un'idea un po' distorta di come vive la maggior parte di noi”.

Il primo a postare la foto col suo volto seminascosto dietro alle corde della racchetta è stato proprio lui, Rubin, vincitore di Wimbledon Juniores nel 2014. A ruota, sono arrivati Ernesto Escobedo, Dustin Brown, Tennys Sandgren, il nostro Andrea Arnaboldi. Così, in poco tempo, quel blog e quelle pagine social sono diventati talmente popolari e amati da far breccia nei colleghi più blasonati. Nessuno si tira indietro, di fronte al racconto dei suoi esordi, nessuno vuole perdere l'occasione per raccontare qualche dolore rimasto sepolto, qualche difficoltà più o meno superata oppure ancora sospesa.

E allora troviamo personaggi come Stefanos Tsitsipas e David Goffin, grandi ex come Michael Chang e Fabrice Santoro, stelle del Tour femminile come Iga Swiatek, Simona Halep ed Elina Svitolina. Storie profondamente diverse l'una dall'altra, ma accomunate da un qualche episodio che nessun giornalista aveva potuto raccontare in precedenza, e che viene a galla adesso soltanto poiché il diretto interessato ha deciso che era il momento giusto per liberarsi di quel peso.

Sono tanti i giocatori, più o meno noti, che raccontano di quella volta in cui hanno pensato di smettere, e nonostante questo hanno tenuto duro, superando il momento nero e uscendone spesso con una forza rinnovata. Ma al di là dei punti in comune, ogni storia ha la sua peculiarità. Da uno Tsitsipas che ha dovuto fare i conti non soltanto con i propri dubbi, ma pure con la tremenda crisi economica di una Grecia sull'orlo della bancarotta, a un Fognini che ha rivelato di avvertire dolori fisici e malanni piuttosto severi ogni volta che si sta per avviare una nuova stagione.

L'ultima azzurra a lasciare la sua firma sul blog di Rubin è stata Martina Trevisan, poche settimane fa: “La mia caratteristica principale – ha spiegato la fiorentina – è sempre stata la sensibilità, e questo mi ha portato a voler conoscere le persone oltre la prima impressione. Quando ero piccola, tutti mi vedevano come 'la tennista', dimenticando che avevo anche delle necessità relative alla mia crescita, fuori dal tennis. Oggi ho capito che il tennis mi ha dato tanto, accetto ogni caduta con la voglia di tornare a lottare e lavorare duramente per fare meglio le volta successiva”.

Sensibilità è una parola ricorrente, scorrendo le storie dietro ai volti del blog. Forse perché la solitudine del tennista porta i giocatori a guardarsi dentro molto spesso, a fare i conti con le proprie emozioni più frequentemente di quanto accada ad altri. Emozioni positive e, più spesso di quanto si creda, pure negative. Di recente, ha colpito molto la vicenda di Robin Haase, olandese di buon talento che qualche anno fa si arrampicò fino al numero 33 della classifica mondiale.

“Nel 2016 – ha scritto per 'Behind the racquet' – il mio ex coach fu condannato per l'omicidio di un mio amico. Fu una storia terribile, ma io mi ritrovai vittima inconsapevole delle attenzioni della stampa, solo per permettere ai giornali di vendere qualche copia in più. Ero totalmente estraneo a quell'episodio, ma non riuscivo più a uscire di casa per paura che la gente mi riconoscesse”. 

Behind the racquet, la vita oltre il tennis

I racconti più interessanti, tuttavia, si nascondono nei personaggi meno popolari. Per esempio in Gustavo Fernandez, classe 1994, numero 2 al mondo di wheelchair tennis, il tennis in carrozzina. “So che la gente mi potrebbe considerare un pazzo – scrive – ma a me i problemi piacciono perché ti costringono a tirare fuori il meglio di te. Così ho sempre cercato di fare io, nello sport come nella vita di ogni giorno. I protagonisti degli sport in carrozzina – continua – spesso non sono reputati atleti professionisti al pari dei normodotati, semplicemente perché la gente non vede gli sforzi che mettiamo in campo ogni giorno. Uno dei miei obiettivi è cambiare questa percezione”.

Il migliore, in ogni caso, resta lui, Ivo Karlovic, uno dei più amati dal pubblico e dai colleghi. Dopo aver ricordato il suo passato difficile, quello di un bambino alle prese con la guerra nella ex Jugoslavia, il croato ha riassunto in una frase ciò che molti avranno pensato e che tuttavia in pochi si sono azzardati a dire, cercando di rincorrere sempre e comunque una forma di linguaggio 'politicamente corretta'. “Nel tennis - ammette Ivo - essere realisti non paga, conviene essere dei sognatori”. Probabilmente, tutti i protagonisti di 'Behind the racquet', così come tutti i professionisti che hanno dovuto lottare contro tutto e contro tutti per prendersi almeno un punto Atp, lo hanno detto a se stessi almeno una volta.

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