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Campioni internazionali

L’oro olimpico: l’ultimo pugno del ko di Zverev sulla strada di… New York!

La grande promessa alterna dal 2017 a Roma eclatanti successi e clamorosi scivoloni. Non sorprende più ma forse il colpaccio su Djokovic gli darà nuova fiducia verso gli US Open dove l’anno scorso ha sfiorato il trionfo

di | 02 agosto 2021

Tokyo 2020: tutta la gioa di Alexander Zverev per il trionfo olimpico (foto Getty Images)

Tokyo 2020: tutta la gioa di Alexander Zverev per il trionfo olimpico (foto Getty Images)

Sascha Zverev ha vinto anche l’oro olimpico dopo le ATP Finals 2018 e quattro Masters 1000 fra cui, il primo agli IBI di Roma del 2017; l’anno scorso ha sfiorato il primo Slam con la finale degli US Open 2020 facendosi rimontare da due set a zero dall’amico del cuore sull’ATP Tour, Dominic Thiem e quest’anno è crollato nelle semifinali del Roland Garros, quand’era ancora in vantaggio due set a zero contro Tsitsipas.

Oggi è numero 5 del mondo ma è stato 3 nel novembre 2017, figlio e fratello d’arte, non quel potente uno-due, servizio (a 220 chilometri all’ora la prima, a 120 la seconda) e portentoso rovescio a due mani, ha la classica  “castagna”, come quei pugili che in qualsiasi momento possono ribaltare il match con un ko. Perciò non è di certo una sorpresa se il tedesco di genitori russi batte i più forti e ci riesce nei tornei più importanti, anche se l’impresa contro Djokovic nelle semifinali dell’Olimpiade di Tokyo rappresenta una notevole sorpresa.  

Tokyo 2020: "Sascha" Zverev rimira la sua medaglia d'oro (foto Getty Images)

Il fatto è che, con quel talento, quelle aspettative, quelle belle presentazioni anche da parte di Federer, Nadal e Djokovic - che ha superato più volte nei confronti diretti -, quella duttilità su tutte le superfici e quello strapotere fisico da bel cigno di quasi due metri, Sascha doveva essere molto più avanti rispetto ai rivali diretti della Next Gen.

Tanto che lui, malgrado fosse promosso al torneo dei migliori under 21 della stagione a Milano, nel 2017, è stato l’unico a snobbarlo per disputare invece le ATP Finals alle quali s’era qualificato.

Un’altra grande promessa del bambino prodigio che, da junior, era stato il più giovane vincitore di sempre del torneo, ad appena 15 anni, al trofeo Bonfiglio di Milano, era poi andato in finale al Roland Garros, s’era aggiudicato gli Australian Open di categoria ed era salito al numero 1 del mondo. Promesse subito confermate da professionista.

Zverev aveva tutte le caratteristiche del bambino d’oro, l’erede dei “Big Four”, anche per via del carattere volitivo, della forte personalità, diciamo pure della prepotenza unita a presunzione che accompagnano i numeri 1 più intrattabili.

Poi si è guastato un po’ da solo perché non ha accettato le redini di un super-coach, da Ivan Lendl a Juan Carlos Ferrero, e perché è incappato in qualche infortunio personale. 

Ha perso fiducia, ha perso anche il servizio, collezionando più doppi falli che ace, ha perso quindi anche terreno nei confronti di Medvedev, Rublev e compagni. Mantenendo però sempre viva l’attenzione su di lui, per via di quel suo pugno del ko che all’improvviso, a sprazzi, tira fuori perentorio e gli riapre la strada nei tornei.

Perché, a tratti, solo come i più grandi, Sascha schiaccia l’avversario e non lo fa giocare: dopo games trascorsi a tirare clamorosamente fuori dalle righe i suoi colpi ne spara altri, in rapida successione, che invece le righe le spazzolano, firmando clamorosi e imparabili vincenti. Così s’è guadagnato, coi soliti alti e bassi, nove titoli sul cemento, la sua superficie più vincente, sui quindici tornei ATP che finora s’è aggiudicato.

E adesso in America del nord scatta proprio la stagione sul duro che culmina con gli US Open di fine mese. Dove Zverev punta le sue fiches: la festa a Djokovic già gliel’ha rovinata a Tokyo può stopparlo anche nella corsa al Grande Slam.

Tokyo 2020: l'esultanza di Alexander Zverev (foto Getty Images)

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