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Rafa, il mancino di Maiorca, è troppo forte, troppo superiore al passato, al presente e quasi sicuramente anche al futuro delle racchette iberiche
di Vincenzo Martucci | 20 novembre 2019
Un campione può essere talmente grande da risultare eccessivo? E’ il pensiero che viene guardando il povero, applicatissimo, diligentissimo, allenatissimo, Roberto Bautista Agut mentre viene sommerso da Andrey Rublev nella nuova coppa Davis targata Piqué, concentrata-spinta a Madrid.
Mentre l’onesto numero 9 del mondo si spreme disperatamente, tutte le telecamere, tutte lefoto, tutte le attenzione della folla, dei media e dei compagni sono solo per Rafa Nadal che freme in panchina, prima di sfoggiare tutta il suo prorompente agonismo e la sua inarrestabile personalità, e trascinare la Spagna alla rimonta contro la Russia.
Il mancino di Maiorca è troppo forte, troppo superiore al passato, al presente e quasi sicuramente anche al futuro delle racchette iberiche. Lui non ha dovuto fronteggiare come Andy Murray il pesantissimo paragone col mitico Fred Perry degli anni 30, ma certo ha minimizzato le imprese dei grandi “hidalgo” di ieri. A cominciare da Andres Gimeno, il più anziano campione del Roland Garros nel 1972, a quasi 35 anni, per continuare col mitico Manolo Santana, campione della terra rossa del Roland Garros 1961 e 1964, ma anche dell’erba di Us Open 1965 e Wimbledon 1966, e quindi numero 1 del mondo nel 1966, quando la classifica non era ancora in mano al computer e lui stesso, a nome dei tennisti spagnoli, varava un motto che sarebbe stato rilanciato da tutti gli sconfitti sul verde: “L’erba è per le vacche”.
Rafa ha oscurato anche le imprese di Manuel Orantes, sicuramente specialista del rosso, ma campione agli Us Open 1975 che si disputavano sulla terra verde americana, più veloce di quella europea.