Chiudi
Il campione di Roland Garros e Wimbledon parte favorito contro Nole I di Serbia, una belva ferita e disperata a caccia del primo oro olimpico e del riscatt. In situazioni analoghe, nelle semifinali di 12 mesi fa sempre sul Philippe Chatrier, Carlitos si incrampò anche nell’anima…
di Vincenzo Martucci | 04 agosto 2024
Rieccoci. Siamo sempre e ancora a Djokovic contro tutti. Oggi, nella finale olimpica contro i formidabili 21 anni di Carlos Alcaraz, come ieri, come sempre. Quand’è ferito e disperato, quando tutto sembra andare contro di lui, dal gioco alla forma, al fisico, al gradimento dl pubblico, agli anni che avanzano, alla moglie-leonessa che in tribuna fa il faccino mogio e abbassa lo sguardo e tace, Novak il terribile fa ancor più paura. E l’avversario, prima di tutti, lo sa, lo capta, e fa un passo indietro, oppresso dai mille incubi connessi a quella espressione fiera e determinata che vede di là del net, quella hanno solo le belve feroci, braccate da turbe di cacciatori, e pensano solo a difendere i propri piccoli.
Così, nell’approcciare per l’ennesima volta la cosa all’oro olimpico - l’unico trofeo doc che manca alla incredibile collezione del primatista di 24 Slam - Nole I di Serbia è nelle condizioni estreme che Roger Federer e Rafa Nadal hanno saggiato sulla propria pelle, che tutti i più grandi teatri del tennis hanno vissuto, che milioni di appassionati hanno guardato alla tv dal 2008, schierandosi pro o contro il campione di gomma scorbutico, ma bravissimo e dalle mille vite. Senza più stupirsi del povero ragazzo che dribblava le bombe della Nato sulla sua Belgrado e si costruiva pezzo a pezzo fino a diventare il numero 1. Immortale nello sport tutto.
OSTACOLI
Il ginocchio destro operato il 5 giugno scricchiola, così come cigolano le giunture di un super-atleta di 37 anni che si è sempre curato nei minimi dettagli ma certamente non s’è risparmiato nella corsa alla storia, che è passata attraverso lo smantellamento del mito “Fedal”. L’avversario di quest’ultimo duello è l’erede di Rafa, quell’Alcaraz forgiato dall’ex numero 1 Juan Carlos Ferrero come evoluzione più perfetta della scuola spagnola, grande atleta ma anche tennista completo, il campione, quest’anno, di Roland Garros e Wimbledon, quello che, nelle ultime due finali dei Championships, ha battuto proprio Djokovic.
Il giovane rampante che più rampante non si può, determinatissimo ad aggiudicarsi anche l’oro di singolare ai Giochi in quel Roland Garros che ha regalato l’immortalità sportiva del suo maestro e idolo, Nadal, e che lui vuole imitare. E mentre Carlitos sta trovando l’equilibrio fra lo spirito bambino di chi vuol far vedere che è bravo bravo e merita gli applausi ed il campione che poi comunque deve portare a termine il suo lavoro, Novak spesso arranca, spesso non è brillante e perentorio, spesso è talmente accecato dall’agonismo di cui cibarsi da cercare l’ennesima provocazione col pubblico e il mondo (che non lo amano e non lo apprezzano quanto vorrebbe).
Ma resta sempre Djokovic, freddo e tatticamente perfetto, che vede il gioco e lo spiraglio in cui infilarsi, che sa eseguire tutti i colpi e che sa rialzarsi e corre e scattare anche su una gamba sola. Forte di istinto, mille talenti e una marea di esperienza. Soprattutto, proprio quand’è con le spalle al muro, soprattutto quando deve rispondere al servizio del nemico, quando sembra condannato a subire, Novak si trasforma, si moltiplica, entra in modalità “non sbaglio più”, anticipa idee e movimenti, chiude ogni varco, soffoca ogni velleità e travolge qualsiasi ostacolo, uscendo dalla trincea con la baionetta sguainata.
SOPRESA
Quest’anno, stranamente, Djokovic non ha ancora vinto, ha tenuto le orecchie basse per le batoste con Jannik Sinner che gli ha soffiato coppa Davis, Australian Open e sicurezze, oltre al numero 1 del mondo. E sogna di riscattare tutto proprio all’Olimpiade per rilanciare nella terza parte della stagione sul cemento nordamericano. Mentre il fenomenale Alcaraz, proprio quand’ha imparato la pazienza, accettando le proprie debolezze insieme alle legittime e massime ambizioni, ha confermato di poter vincere tutto, su tutte le superficie e contro qualsiasi avversario. Anche se è quel mostro di determinazione e concentrazione del Profeta di capelli rossi. Come ha dimostrato quest’anno fra Indian Wells e Roland Garros portando il bilancio degli scontri diretti con l’italiano sul 5-4.
Formalmente, nei testa a testa con Djokovic, il puledro di casa Spagna è 3-3. Ma ha dimostrato alla grande al Cannibale di essere altrettanto forte fisicamente e di tennis proprio sull’erba più famosa dove Novak ha fondato l’ennesimo feudo. Il punto interrogativo su Carlos è ancora legato ai nervi, alla gestione del match, all’approccio col grande evento e col grande avversario, alla capacità di eseguire il suo fantastico campionario di colpi senza farsi influenzare dalle emozioni. Per cancellare forse il peggior ricordo nel suo tennis da quartieri alti, nelle semifinali del Roland Garros dell’anno scorso, quando arrivò da favorito alla sfida contro il primatista di quasi tutti i record del tennis e si bloccò per la tensione, fino ad incramparsi nell’anima prima ancora che nei muscoli davanti a super-Djokovic che tutti, a partire dallo stesso Nole, sapevano che avrebbe potuto battere di tennis. Rieccoci: stessa spiaggia, stesso mare. E stavolta lo snodo può essere ancor più decisivo, per entrambe.
Non ci sono commenti