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Parla Sirola, il segreto del nuovo Zverev: "Una sfida vinta"

Il preparatore croato è entrato a far parte del team di Alexander Zverev nel 2023, con il tedesco che lo ha cercato per superare un momento complicato e tornare ai vertici del ranking Atp. Laureato presso il Dipartimento di Scienze Motorie di Zagabria, la sua storia con il mondo della racchetta comincia nel 2009, con Ivan Ljubicic e il suo storico coach Riccardo Piatti

16 giugno 2024

Alexander Zverev esulta al Roland Garros (Getty Images)

Alexander Zverev esulta al Roland Garros (Getty Images)

Classe 1972, nato a Rijeka in Croazia, Dalibor Sirola è da più di due decadi uno dei più apprezzati preparatori atletici del circuito. Un professionista che, quando viene scelto, trova sempre un modo per lasciare il segno e fare la differenza. Come nel febbraio 2023, quando è entrato a far parte del team di Alexander Zverev, che lo ha cercato per superare un momento complicato e tornare ai vertici del ranking Atp. Laureato presso il Dipartimento di Scienze Motorie di Zagabria, la sua storia con il mondo della racchetta comincia nel 2009, quando Dalibor inizia la sua collaborazione con Ivan Ljubicic e il suo storico coach Riccardo Piatti. Due anni più tardi, diventa capo dei preparatori fisici del Piatti Tennis Center, ruolo che occupa ancora oggi.

Dalibor, quando e come è nata la collaborazione con Zverev?

“Dopo gli Australian Open del 2023, lo staff di Alex mi ha contattato per chiedermi se ero disponibile a dare una mano. Il recupero della caviglia destra (dopo il grave infortunio subìto al Roland Garros 2022, ndr) era completato, non c’era più dolore e i movimenti non avevano più limitazioni ma il giocatore sentiva che dal punto di vista della performance mancava ancora qualcosa. Non era soddisfatto del livello del suo tennis”.

Da dove siete partiti?

“Abbiamo iniziato focalizzandoci prima di tutto sul recupero funzionale per la performance. Mi sono subito accorto che, anche se il recupero era stato buono, alla gamba e al piede destro mancava elasticità. Quando Sasha correva e si spostava in campo, i due piedi lavoravano in modo completamente diverso”. 

Quindi è dovuto intervenire solo per il completo recupero dell’infortunio o anche su altri aspetti?

“A dire il vero ho notato subito che mancava un po’ di ordine nella programmazione della giornata di lavoro. Alex faceva bene la parte tennis, ma faceva pochi lavori fuori dal campo e per di più in modo disordinato. Piano piano, da giocatore di classe quale è, ha ritrovato il ritmo e le giuste abitudini. Fino ad oggi che è tornato dove è giusto che sia, cioè tra i primi 5 giocatori al mondo”.

Per lei è stata una sfida lavorare con un giocatore che tornava da un infortunio così importante?

“Sfida è la parola giusta. Per me è stata una grande sfida cercare di risolvere problematiche così delicate su un atleta di altissimo livello. Con i miei giocatori mi metto in gioco con tutto me stesso per capire se ho le qualità adatte per aiutarli. Investo tantissimo tempo perché è necessario sacrificarsi e stare vicino all’atleta per riuscire a creare le condizioni per il successo. Non conta solo il lavoro sul campo ma anche essere credibile ai suoi occhi. E per far sì che ciò accada serve dedizione e, come ho detto, tanto tempo”.

Lei comunque ha l’esperienza necessaria visto che di top player ne ha allenati tanti in passato.

“È vero, ma ogni atleta ha una personalità diversa e tu devi essere bravo ad adattarti e trovare il giusto approccio, il canale giusto per creare una relazione proficua con lui. La giornata non si esaurisce solo con l’allenamento, bisogna imparare a gestire un atleta per 24 ore al giorno”.

Quindi, oltre a lavorare sulla condizione atletica di Zverev, è intervenuto anche sull’approccio mentale?

“Onestamente sì. Ricordo che dopo le prime due settimane di lavoro, Sasha mi chiedeva: ‘Dalibor, pensi che riuscirò a tornare ai livelli di prima?’. Era molto insicuro. Così gli ho mostrato una statistica di Nole che, dopo essersi infortunato a Wimbledon ed essersi operato al gomito nel 2017, ha ripreso a giocare in Australia. Un caso molto simile a quello che stava capitando ad Alex che si era infortunato a Parigi ed era rientrato proprio in Australia. Nei primi mesi Novak perdeva spesso con avversari che in teoria non avrebbero dovuto impensierirlo, ma poi si è ripreso un po’ sulla terra e, quando è tornato a Londra, ha vinto lo Slam”. 

Praticamente quello che è successo a Sasha che ha ripetuto la semifinale al Roland Garros nel 2023.

“Esatto. Quell’esempio gli è servito per ritrovare fiducia e credere nelle sue possibilità. A quel punto, quando il giocatore ti crede, diventa più facile intervenire anche sulla routine dell’allenamento e la tua relazione con lui diventa più profonda”.

Si aspettava una partenza così esplosiva nel 2024?

“La scorsa stagione, dopo il rientro, è stata tutta una corsa per difendere i punti nei vari tornei. Chiedevo sempre al team qualche settimana di riposo per completare alcuni blocchi di lavoro un po’ più lunghi rispetto ai micro-cicli da 7 giorni al massimo che mi erano concessi e che non mi permettevano di lavorare come avrei voluto. Per questo, quando è finalmente arrivata la off-season, ero veramente felice. Abbiamo avuto tre settimane a Monaco con Sasha a nostra disposizione e poi, ancora, una decina di giorni in Australia. Per cui, per tornare alla domanda, quando sai che c’è un lavoro ben fatto alle spalle, certi risultati come quelli ottenuti alla United Cup e all’Australian Open sono sorprendenti ma solo fino a un certo punto. Credo che in questo momento Sasha sia più in forma che mai”.

E arriviamo alla stagione sul rosso dove Zverev ha raccolto tantissimo.

“La terra battuta è la sua superficie. Favorisce il suo gioco perché a lui piace stare lontano dalla linea di fondo, cercare il ritmo nel palleggio. Infatti, quando a Madrid ha perso da Cerundolo è stata una grande sorpresa. Tolto Monaco di Baviera dove c’erano pochi gradi e nevicava persino, a Monte-Carlo ha perso da Tsitsipas che poi ha vinto il torneo e a Roma è stato fantastico. Lui adora giocare lì, gli piace l’Italia e si trova sempre a suo agio al Foro Italico”. 

Come ha vissuto la sconfitta al quinto set con Alcaraz a Parigi?

“Il livello di Carlos è stato altissimo. Analizzando il match, ci siamo detti che forse doveva essere più ‘cattivo’ all’inizio del quarto set, provare a stare con Alcaraz fino alla fine del parziale per farlo innervosire visto che per lo spagnolo perdere quel set sarebbe stato fatale. Invece ha preso subito il break ed è andato sotto nel punteggio. E ha permesso all’avversario di riprendere fiducia. Da lì Carlos ha cominciato a variare molto il gioco, cosa che a Sasha dà sempre fastidio”.

Arriva la stagione sul verde. Come vi state preparando all’erba?

“Semplice: andando a giocare partite sull’erba (ride, ndr). È il problema che noi preparatori e coach dobbiamo sempre affrontare, perché quando si allena un top player che arriva in fondo a Parigi non si ha il tempo necessario per preparare l’erba in modo corretto. Quindi si gioca, non c’è molto altro da fare per abituarti il prima possibile alle dinamiche dell’erba perché Wimbledon è alle porte”.

Tra i tantissimi campioni che ha allenato, ce n’è uno che le è rimasto nel cuore?

“Ogni persona con cui lavori ti lascia qualcosa. Con alcuni si creano delle vere e proprie amicizie, con altri meno, dipende dalla personalità. Le porte che mi ha aperto Ivan Ljubicic con Riccardo Piatti, per entrare nel mondo del tennis sono state fondamentali. Ogni volta che incontro Ivan è una grande emozione. Ma forse l’unico giocatore con cui sono diventato veramente amico è Andreas Seppi. Ho dormito spesso a Caldaro, ospite dalla sua famiglia. Anche oggi che non ci vediamo più tanto spesso perché lui vive principalmente negli Stati Uniti, abbiamo creato una relazione molto intima e profonda”.

E poi c’è Sinner…

“Jannik è cresciuto con noi a Bordighera al Piatti Tennis Center. È arrivato a 14 anni che era praticamente un bambino ed è rimasto fino ai diciannove. Quando segui da vicini il percorso di un ragazzino, ti rimane sempre un po’ sotto la pelle, se si capisce cosa intendo. Adesso, vederlo numero 1 al mondo, è veramente motivo di orgoglio”.

Ha lavorato molto con Jannik?

“Onestamente, quando lui è arrivato, nei primi anni ero spesso in giro per il mondo con Milos Raonic. Ma essendo responsabile dei preparatori atletici conoscevo molto bene il suo percorso e controllavo il suo sviluppo fisico. Dopo i suoi 17 anni ho lavorato con lui come adesso lavoro con Sasha”.

Quindi, se ci sarà una finale Slam tra Zverev e Sinner cosa succederà?

“Resto a casa (ride, ndr). Quando hanno giocato contro lo scorso anno allo Us Open è stato emotivamente complicato per me. Il giorno prima del match, Sasha - scherzando ma non troppo - mi ha chiesto: ‘Ma tu domani ci sarai nel mio angolo o no?'”.

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