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Arnaldi e Petrone, coppia vincente: "Vi racconto Matteo, esigente ma sereno"

“È tranquillo - spiega il coach - anche fuori dal campo, è sempre molto disponibile all'allenamento, molto ricettivo, ascolta e si confronta. Lui ha sempre avuto aspettative molto alte su se stesso, ma non vedeva i risultati e si sentiva in difetto. Bisogna capire che per lui il tennis è tutta la vita”

di | 31 ottobre 2023

L'abbraccio tra Matteo Arnaldi e il suo coach Alessandro Petrone (foto Sposito)

L'abbraccio tra Matteo Arnaldi e il suo coach Alessandro Petrone (foto Sposito)

A inizio 2022, Matteo Arnaldi era numero 363 Atp. A inizio 2023 era 134, gran salto rispetto a dodici mesi prima, ma ancora oltre quella soglia dei 100 che permette di sognare in grande. Oggi il ligure non soltanto è riuscito ad abbattere quel muro, ma si è spinto ben oltre arrivando a stabilizzarsi dentro i top 50. E se è riuscito in questa impresa, il merito è anche di un coach che proprio con lui sta facendo la prima grande esperienza di alto livello. Alessandro Petrone è stato a sua volta un ottimo giocatore, fermandosi però al numero 397 del ranking mondiale. A 30 anni, mentre tanti coetanei ci stavano ancora provando, si è immerso completamente nella seconda vita da allenatore e adesso raccoglie i frutti – insieme all'allievo – di un lavoro costante, fondato su un atteggiamento umile ma deciso. 

“La crescita di Matteo – racconta il coach milanese – è sempre stata importante, costante, magari senza un picco clamoroso in termini di risultato. Ha saputo adeguarsi velocemente al livello con cui si stava confrontando. Dall'ingresso nei Challenger in poi è stato tutto molto veloce, non mi aspettavo nemmeno io questo adattamento così rapido. Poche volte ha perso al primo turno, quasi sempre se l'è giocata alla pari contro avversari in quel momento meglio piazzati”.

Matteo Arnaldi: gli step che lo hanno portato nei top 50

Ci sono alcuni step, tuttavia, che da un certo punto in poi hanno segnato la carriera di Arnaldi. La partecipazione alle Next Gen Atp Finals del 2022, la vittoria a Madrid contro Casper Ruud, gli straordinari Us Open e infine la convocazione con la Nazionale, dove le sue vittorie (contro Borg e Garin) sono state decisive. “Ma a vederlo 'da dentro', gli step che gli hanno fatto cambiare marcia sono stati altri. Per esempio, dopo un periodo un po' negativo a febbraio e marzo, un momento che ha aiutato a compiere un cambio di rotta è stato il match di secondo turno nel Challenger di Murcia (poi vinto, ndr): sotto di un set e 3-1 con Coppejans, Matteo è riuscito a vincere e ha preso fiducia. Certo, il successo con Ruud è stato il suo modo per entrare a pieno titolo nel mondo Atp e farsi conoscere, quello che gli ha dato la fiducia per vincere contro rivali di quella portata”.

Ciò che appare evidente, guardando Arnaldi da lontano, è che si diverta in tutto quello che fa. Anche nella fatica quotidiana per lavorare sui dettagli. “È così anche fuori dal campo, sempre molto disponibile all'allenamento, molto ricettivo, ascolta e si confronta. È tranquillo e pacato, nell'ultimo periodo di più, ovviamente, perché i risultati che ha centrato gli donano serenità. Lui ha sempre avuto aspettative molto alte su se stesso, ma non vedeva i risultati e si sentiva in difetto. Bisogna capire che per lui il tennis è tutta la vita, anche se ora ha una fidanzata che lo aiuta a distrarsi (risata, ndr). Senza poter raggiungere quegli obiettivi che aveva in testa, non si sentiva pienamente soddisfatto”.

Il diritto di Matteo Arnaldi (foto Getty Images)

Questa annata così favorevole, in termini di crescita tecnica e di ranking, ha permesso anche a Petrone di entrare in un'altra dimensione. “Pure per me è tutto nuovo, ed è un mondo che mi piace, malgrado ci siano più pressioni, anche dall'esterno, con tv e sponsor che in qualche modo chiedono conto: significa che i tuoi risultati iniziano a pesare. Mentre giochi i challenger non ti considerano tanto, ma una volta entrato stabilmente nel Tour maggiore cambia tutto. Riesci a stare a contatto con gente che è al top e questo fornisce indicazioni importanti: giocare con Alcaraz, Medvedev, Rublev, è determinante per scoprire il proprio valore. Per Matteo il punto di riferimento è sempre stato Djokovic, e ha pure avuto la possibilità di allenarsi con lui. Per quanto riguarda me, invece, ci sono tanti allenatori da cui cerco di prendere spunto, in particolare da quelli più giovani. Per esempio Simone Vagnozzi, ma pure Juan Carlos Ferrero”.

Un passo nella carriera del Petrone giocatore (che, per inciso, ha pure un precedente favorevole con Jannik Sinner, a Cuneo nel 2018) è obbligato. “Sicuramente qualche rimpianto ce l'ho, avrei potuto investire di più su me stesso: sull'allenatore, sulla struttura che mi seguiva, invece spesso mi sono arrangiato andando in giro da solo. Quando ho ripreso dopo uno stop, a 25-26 anni, ho iniziato ad allenarmi meglio, ho smesso con meno rimpianti rispetto al 2014. Ma quel periodo mi è servito per capire tanti miei errori che non dovevano essere fatti dai miei allievi. L'insegnamento più importante? Bisogna investire su qualcuno che ti dia una mano, con un preparatore atletico e uno staff all'altezza. Se non rischi, se non investi, non arrivi”.

Matteo Arnaldi in azione allo US Open (Getty Images)

A proposito di rischi, per Arnaldi (e per l'Italia) la Davis a Bologna è stata una magnifica occasione per mostrare il coraggio di un gruppo fatto da ragazzi che non si spaventano di fronte a nulla. “La chiamata in Nazionale è arrivata inaspettata, Matteo si è ritrovato a Bologna senza essere mentalmente preparato per giocare, visto che la convocazione iniziale lo vedeva come quinto del gruppo. Poi ha giocato due singoli e li ha vinti, e vi assicuro che non era per niente facile. La pressione del debutto in azzurro può bloccare chiunque, invece è stato bravo a gestire quella situazione, e quell'esperienza gli è servita tanto”.

Ma allora cosa manca, a Matteo Arnaldi, per salire ulteriormente e agganciare i big? “Quello che gli manca è continuare a migliorare i colpi di inizio gioco, visto che ormai si gareggia per il 70 per cento delle volte sul veloce, e quando Matteo incrocia quelli veramente forti non ci si può permettere di avere cali al servizio o in risposta. Poi bisogna continuare a migliorare la gestione del match, del torneo in generale, oltre che fare le scelte corrette di programmazione. Di certo, se riuscirà a mantenere questo ranking, la stagione sarà più semplice da programmare. Se parliamo di superfici, lui dice che si sente meglio sul cemento, ma ormai sappiamo che sulla terra si può adattare molto bene. Resta un po' più indietro, per adesso, sui campi indoor e su erba”.

Gli obiettivi, essendo già nei top 50, devono essere necessariamente ambiziosi, anche se il coach ci tiene a mantenere un profilo (relativamente) basso: “Di scontato in questo mondo non c'è niente. Rimanere nei 50 è già un obiettivo importante, perché significherebbe consolidare quello che abbiamo raggiunto, poi i risultati vanno e vengono, ma il focus deve essere sempre sul lavoro”.

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