
Vavassori, torinese doc, è nato in una famiglia di sani principi, che per i propri figli ha voluto un cammino nello sport sì, ma quanto più possibile normale. Riassumendo, prima lo studio, poi l'agonismo. Lo stesso cammino che ora sta facendo il fratello Matteo
di Cristian Sonzogni | 06 agosto 2024
In una manciata di minuti, durante le Olimpiadi di Parigi, Andrea Vavassori è riuscito a dare una lezione a coloro che pensano che lo sport si riduca a vittorie e sconfitte. Che sia una sorta di scelta tra bianco e nero, senza sfumature di mezzo. “Veniamo giudicati – ha detto in sostanza il piemontese dopo la sconfitta dolorosa nel misto – per un singolo colpo messo in campo o fuori, senza che si possa valutare il percorso che sta dietro ai nostri risultati”.
Detto che il giornalismo ha bisogno di semplificazioni e che poi alla fine il risultato bisogna pur darlo, 'Wave' ha sottolineato qualcosa di sacrosanto, che non è nemmeno un dettaglio ma – al contrario – la base su cui si dovrebbe fondare non tanto il commento dei 'guardoni di professione' (come Gianni Clerici chiamava se stesso e i colleghi) quanto il percorso di formazione di ogni aspirante professionista. Togliendo dunque dalla testa di tutti, genitori inclusi, che un ragazzo si debba valutare esclusivamente dal risultato di una partita.
A proposito. Vavassori, torinese doc, è nato in una famiglia sana, che per i propri figli ha voluto un cammino nello sport sì, ma quanto più possibile normale. Riassumendo, prima lo studio, poi l'agonismo. Così Andrea ha messo le basi di ciò che sta ottenendo, risultati straordinari (sì, perché il best ranking di 128 in singolare è tanto straordinario quanto il 9 in doppio) supportati da una testa pensante, in aiuto di un talento fuori discussione. 'Wave' si è costruito pezzo per pezzo proprio grazie alla sua intelligenza e alla sua formazione di base, che gli hanno consentito di non sentirsi fuori posto e fuori tempo quando i risultati non arrivavano. Il punto è – altro aspetto fondamentale della vicenda – che i tempi di maturazione individuali vanno rispettati. Perché c'è chi trova la quadra a 20 anni e chi a 30. E non per questo uno deve sentirsi 'giusto' e l'altro 'sbagliato'.
Papà Davide, che adesso sta facendo lo stesso lavoro con l'altro figlio Matteo (19 anni, con classifica Atp di doppio ma non di singolare), ha sempre avuto lo stesso approccio, fin dal principio della loro avventura. Diceva: “Io ho cercato di essere il papà più normale possibile, provando a essere un allenatore esigente ma senza andare oltre certi limiti. Non ho mai voluto a tutti i costi che Andrea facesse il professionista. Ci siamo arrivati per gradi, ci siamo trovati a un certo livello e abbiamo dovuto fare delle scelte”. Scelte pensate, ponderate, adeguate al contesto. Andrea, alla fine, è arrivato in alto, è arrivato a essere un 'pro' di valore, a vivere (bene) di tennis. Ma se non fosse arrivato, sarebbe comunque rimasto un uomo di valore, semplicemente con un lavoro diverso.
“Non si può dire – sottolineava ancora Vavassori padre, seguendo l'umiltà come principio cardine – che ci sia una strada ideale o che una sia meglio di un'altra. In alcune situazioni, cominciare giovanissimi a girare il mondo ha funzionato, in altre no. A volte non si ha la capacità di essere lungimiranti, attratti dai risultati immediati. Il percorso di Andrea, invece, è quello che ti porta a goderti appieno vittorie ed esperienze in un'età nella quale puoi assaporarle a dovere. Un buon allenatore ha poche certezze e tanti dubbi. Dobbiamo essere decisi in alcuni momenti sul portare avanti ciò che abbiamo deciso di fare, ma dobbiamo essere anche dei buoni osservatori”.
Tornando alla stampa e alla lezione di 'Wave'. C'è un libro del 2007 – Black Swan, dell'ex trader libanese Nassim Nicholas Taleb – che racconta dell'impatto sulle vite della gente di ciò che è altamente improbabile, in positivo e in negativo. Un libro che punta il dito spesso e volentieri sui giornalisti capaci di raccontare bellissime storie partendo da un evento imprevedibile a priori eppure, a beneficio della narrazione, totalmente logico (a posteriori) e sostanzialmente inevitabile. Nei risultati di Vavassori, come di chiunque altro nel mondo del tennis, non c'è nulla di certo in partenza. Come non è mai certo che un diritto comodo si possa mettere in campo, quando ci si sta giocando una possibile medaglia olimpica. Impararlo (e insegnarlo) dovrebbe essere la base per la formazione di un campione.
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