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Gulisano, il coach emergente con ambizioni da Gigante

L’attuale coach del 22enne Matteo Gigante - che si sta mettendo in evidenza come uno dei giocatori più vincenti del circuito Challenger - ha una storia da allenatore che comincia da Matteo e Jacopo Berrettini. E che prosegue adesso con un altro tennista romano

03 marzo 2024

Matteo Gigante con Marco Gulisano (foto Fumero)

Matteo Gigante con Marco Gulisano (foto Fumero)

Può un cesto di palline depressurizzate cambiare il corso della vita di un ragazzo? A sentire Marco Gulisano pare proprio di sì. Classe 1996, coetaneo di Matteo Berrettini, con il fuoriclasse azzurro Marco ha condiviso un bel pezzo di strada grazie a un’amicizia che continua ancora oggi, più solida che mai, anche dopo che le loro strade professionali si sono separate.

L’attuale coach del 22enne Matteo Gigante - che si sta mettendo in evidenza come uno dei giocatori più vincenti del circuito Challenger - parte proprio da quel curioso episodio per raccontare la sua storia. “Ero in vacanza con la mia famiglia in un villaggio Valtur a Simeri, in Calabria. Mio papà, così come quello dei fratelli Berrettini, è appassionatissimo di tennis, per cui quell’estate non mancava mai l’allenamento quotidiano sul campo. Così ci siamo ritrovati, già a 8 anni, a dividere il campo con i nostri padri intenti a sparare palline a ripetizione dal cesto”.

Chi vinceva tra lei e Matteo?

“Sempre lui. Infatti ancora oggi ci scherzo, dicendogli che sono l’unico giocatore che da under riusciva a battere, visto che la sua carriera giovanile non è stata particolarmente vincente”.

E l’ultima volta che avete giocato contro?

“Al Lemon Bowl, e vinse anche quel match. Fino all’under 16 abbiamo fatto più o meno la stessa attività e così le nostre famiglie hanno coltivato una bella amicizia”.

Ci racconta la sua storia?

“La passione per la racchetta mi è stata tramandata da mio papà. Ho iniziato a giocare a Catania, al Circolo Tennis Muri Antichi, e ho proseguito la mia ‘non-carriera’ al Monte Kà Tira, facendo tutta la trafila delle giovanili, dai tornei regionali ai nazionali. Ho frequentato il circuito Tennis Europe fino a 15 anni, ma sempre dando la priorità allo studio visto che mia madre non voleva sentire ragioni. Ho studiato al Liceo Scientifico pubblico e, per non fare assenze, non ho potuto frequentare il circuito under 18”.

La svolta per diventare coach quando è arrivata?

“Già intorno ai 16 anni, quando mi sono spostato da Fabio Rizzo, la persona che mi ha insegnato di più, prima come giocatore e poi da istruttore quando ho cominciato a lavorare. Dopo il liceo avevo una classifica di 2.4 e ho provato a giocare qualche Futures, ma mi sono subito reso conto che serviva una base economica molto più solida e servivano qualità che, onestamente, io non avevo. Così mi sono iscritto all’Università di Scienze Motorie. È stato Fabio che, a un certo punto, mi ha detto che a suo avviso avevo le capacità per diventare un buon allenatore”.

Un bel primo piano di Matteo Berrettini (foto Getty Images)

Quali sono state, all’inizio, le motivazioni che l’hanno convinta a lasciare il campo per la panchina?

“Al di là di una passione genuina per il tennis, io adoro viaggiare e da giocatore non sono riuscito a farlo come avrei voluto. Poi, come dicevo, a Catania grazie a Fabio Rizzo si è sviluppato un gruppo di atleti di livello come Alessio Di Mauro, Francesco Aldi, Gianluca Naso, Antonio Comporto e Omar Giacalone. Più che di maestri per l’avviamento o per i corsi adulti, Fabio aveva bisogno di un ragazzo giovane che lo aiutasse con i professionisti. È stata la mia fortuna perché sono partito subito a lavorare con gli agonisti”.

Dove e con chi ha cominciato?

“All’epoca lavoravamo prima al Club Panda e poi al Cus Catania. Sono stato in campo parecchio, mentre studiavo, come sparring per i fratelli Tabacco, Fausto e Giorgio e poi, nel 2018, arrivò la chiamata di Matteo che mi disse che avrebbe dovuto fare un torneo da solo a Gstaad e se mi andava di accompagnarlo, visto che era da un po’ che non passavamo del tempo insieme. Vincenzo (Santopadre, il coach di Berrettini, ndr) era in vacanza e così in Svizzera con lui ci andai io”.

È uno dei pochi coach Atp che possono vantare un successo all’esordio. Conserva ancora quel badge di Gstaad 2018?

“Certo, così come la pallina dell’ultimo punto della finale. È stata una settimana bellissima, per Matteo era il primo titolo Atp e insieme siamo stati benissimo, anche se a essere onesto il mio contributo è stato pari a zero (ride, ndr)”.

Matteo Gigante in azione (foto Martegani)

Santopadre le ha tolto il saluto dopo quel torneo?

“Con lui non avevo molta confidenza all’epoca e, quando ci vedemmo, mi disse: ‘Fai lavorare gli altri e ti vai a prendere i trofei’, più una tipica espressione romanesca che non riferisco. Ci scherzammo parecchio in seguito. Ma in realtà fu una mossa molto intelligente di Vincenzo, che aveva capito che in quel momento Matteo era stanco e aveva bisogno di una presenza più leggera accanto”. 

Cosa si è portato dietro di quell’esperienza?

“Mi ha aperto gli orizzonti. Ha cambiato il mio modo di vedere le cose. Venivo da un contesto siciliano molto particolare e non ero abituato a quel livello di tennis. E poi, la cosa che mi ha più sorpreso fu la capacità di Matteo di ascoltare, che andava al di là del fatto che fossimo amici. E infatti ancora oggi uso l’esempio di quella settimana con i ragazzi che alleno, raccontando di quanto Matteo fosse aperto a condividere e dialogare”.

Da quell’estate, si è trasferito alla Rome Tennis Academy.

“Esatto. Vincenzo mi volle con sé in questo suo nuovo progetto. Chiamò Rizzo e ancora oggi devo ringraziare Fabio per avermi ‘liberato’ e permesso di fare questa importante esperienza. Per me Santopadre è una figura fondamentale, mi ispiro molto a lui nel mio lavoro”.

Ci sono altri coach che hanno inciso sulla sua formazione?

“Quest’estate ho passato due settimane con Riccardo Piatti per il tirocinio del corso maestri, ma anche Max Sartori mi ha sempre aiutato. Un coach che mi ha impressionato parecchio è stato Diego Moyano (attuale coach di Frances Tiafoe, ndr), che all’epoca allenava l’ex fidanzata di Matteo, Ajla Tomljanovic, oltre a Kevin Anderson. Aveva una straordinaria capacità di adattarsi e di rendersi utile per due giocatori così diversi, sia tecnicamente che caratterialmente”.

Riccardo Piatti, uno dei tecnici italiani più apprezzati al mondo

Il passaggio dalla Sicilia alla Capitale?

“Un po’ traumatico, ma fortunatamente a Roma avevo già molti amici e poi la famiglia di Matteo è stata fondamentale accogliendomi come un figlio. Anche Santopadre mi ha aiutato moltissimo”.

Da un Berrettini a un altro, c'è stato anche il lavoro con Jacopo.

“Quella con Jacopo è stata un’esperienza fondamentale. Negli ultimi tre anni sono stato principalmente con lui, visto che con Matteo lavoravo solo dieci, quindici settimane l’anno per far respirare Vincenzo. Sono stati anni importanti e insieme abbiamo sofferto parecchio delle sue sfortune perché quando stava bene fisicamente, Jacopo era competitivo a livello Challenger. A Matteo e Jacopo sono molto grato. Ho sofferto la separazione ma anche adesso che non lavoriamo più insieme continuo ad avere con loro un legame fraterno”.

Essere amico e coach è un limite o la cosa aggiunge valore al rapporto?

“L’ho sempre vissuta bene e devo dire che sono stati tolleranti con me, visto che, a causa della mia inesperienza, sicuramente avrò commesso degli errori. Quando si è coinvolti emotivamente ed esiste una relazione di amicizia, le responsabilità hanno un peso diverso e le decisioni scomode sono molto più sofferte”.

Arriviamo a oggi. Ha cambiato l’allievo ma è rimasto sempre a Roma. Quando ha incontrato Gigante?

“Nel 2018, quando ho iniziato a lavorare alla Rome Tennis Academy (la scuola che era guidata da Santopadre e fondata da Luca Berrettini, padre di Matteo, ndr), Gigante era uno dei ragazzi che si allenavano lì come Flavio Cobolli. Il 2019 è stato il primo anno da junior di Matteo e abbiamo passato insieme una decina di settimane. Ci siamo conosciuti e in questi anni l’ho sempre seguito come tutti i ragazzi coinvolti. Poi, a novembre, mi ha chiamato il suo coach Alessandro Galli, una persona fondamentale nel percorso di Gigante, ragazzo con qualità tecniche e tattiche pazzesche proprio grazie al lavoro di Sandro. Vista la recente decisione di Matteo Berrettini, che chiaramente aveva bisogno di un cambio di rotta, tra le proposte che mi sono arrivate, ho scelto questa sfida”.

Stefano Travaglia e Matteo Gigante (foto Wallmeier)

Come si sta evolvendo Gigante dal punto di vista tecnico? 

“Ho trovato un giocatore molto competitivo. Ovviamente ci sono grandi margini, ma la sua base è solida. Merito chiaramente, ripeto, del lavoro fatto da Galli. Non è ancora pronto per il salto definitivo perché ha tanto da lavorare sulla gestione della quotidianità. Il 2023 è stato in sostanza il suo primo anno da professionista, quindi ha bisogno di tempo per creare una sua identità che poi si rifletta anche sul campo. Mancano ancora degli step fondamentali ma, come testimoniano i risultati di queste settimane, è sulla buona strada”.

Qual è il colpo che sente più “suo” e quello su cui dovrebbe migliorare di più?

“Ha ampi margini di crescita sul diritto e sul servizio, mentre la qualità nell’esecuzione del rovescio è quella che più facilmente salta all’occhio. In questo momento stiamo cercando di lavorare su ciò che fa già bene per aiutarlo ad affrontare i momenti di difficoltà del match”.

Allenare per la prima volta un giocatore mancino presenta qualche problematica?

“In principio un po’, ma adesso mi sto divertendo tanto a vedere le cose da una prospettiva diversa. Sto scoprendo angolazioni di cui non ero a conoscenza (ride, ndr)”.

Il tennis è spesso questione di testa e motivazione. Quanto conta per lei l’aspetto mentale?

“Ho avuto la fortuna di collaborare con un coach come Santopadre e con Stefano Massari (mental coach di Matteo e Jacopo Berrettini, ndr) che mi hanno trasferito un’attenzione particolare per questo aspetto. È quello a cui mi riferivo quando parlavo di gestione della quotidianità, perché non dimentichiamoci che la vita del tennista professionista può essere molto dura. Si è spesso soli e quindi l’aspetto mentale è fondamentale”.

Il successo del tennis italiano è evidente, così come lo è la spinta positiva di Sinner e del successo in Davis. Tutto ciò sta facendo da traino anche a quei giocatori che sono nella situazione di Gigante?

“Assolutamente sì e la cosa importante è che tra loro si sostengono e si spronano. Ho avuto modo di vedere come Giulio Zeppieri o Flavio Cobolli aiutino Matteo, che per adesso è un passo indietro a loro. Il gruppo è unito. Il traino, a partire da Jannik, è evidente. Lui è la punta e ha anche il merito di togliere pressione a tutti visto che, anche a livello mediatico, lui è l’apice di questo movimento”.

Matteo Gigante (foto Fumero)

Quanto conta la collaborazione con il settore tecnico della Fitp?

“Mi sento molto fortunato, perché da quando ho avuto modo di conoscere il Sistema Fitp un po’ più da vicino, mi sono accorto del valore di figure come quella - per esempio - di Umberto Rianna. Prima con Francesco Aldi e adesso con Gabrio Castrichella ho un supporto importante a livello tecnico e apprezzo i tanti benefici di un confronto costruttivo e costante”.

C’è un giocatore che prende ad esempio nel suo lavoro?

“Un bel po’ di anni fa ho visto da vicino Sinner, quando ancora era molto piccolo, e mi aveva impressionato. Oggi il modello non può che essere lui. È un ragazzo disponibile, gran lavoratore, capace di un dialogo sempre costruttivo con i suoi allenatori. A Montecarlo ho avuto l’opportunità di confrontarmi con Simone Vagnozzi: stanno davvero facendo un lavoro pazzesco”.

Cosa prevede la programmazione nei prossimi mesi di Matteo Gigante?

“L’obiettivo è quello di fare un anno completo, senza troppi alti e bassi. Dopo la stagione sul cemento è il momento di passare sulla terra battuta fino a Parigi. Ovviamente, per un romano doc come lui, resta il sogno di giocare gli Internazionali d’Italia, vedremo se ci saranno le condizioni. Ci vuole pazienza e poi le somme le tireremo il prossimo novembre”.

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