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“Demon” dovrà inventarsene una buona contro il diavolo italiano…

Il guerriero australiano De Minaur, sosia di Lleyton Hewitt, è la sorpresa di Toronto: ha eliminato Norrie, Fritz, Medvedev e Davidovich Fokina. In finale è ancora sfavorito, anche per lo 0-4 nei testa a testa contro Sinner, ma schiera gambe, testa e cuore super

di | 13 agosto 2023

La grinta di Alex De Minaur (foto Getty Images)

Chi è Alex De Minaur che sfida Jannik Sinner nella, finale di Toronto? Al di là dei piedi alati, dell’intelligenza in generale e di quella tennistica in particolare, unita alla resilienza difensiva, forse la fotografia più veritiera sta in quel “So windy” (Così ventoso) che “Il Diavolo” ha scritto sulla telecamera in campo dopo aver demolito i nervi di “Foki”: è insieme un grido di guerra, un battersi il petto orgoglioso, uno sberleffo all’avversario, un messaggio agli spogliatoi, un poster alla carriera.

SFAVORITO
Il 24enne di Sydney, che ha avuto come idolo e mentore Lleyton “il selvaggio” Hewitt, affiancandolo al coach-chioccia Adolfo Gutierrez, è allenato al ruolo di underdog, come dicono in lingua, lo sfavorito. A guardarlo, 1.83 per 69 chili, ha più spesso qualcosa di meno dell’avversario di turno: senza un servizio devastante (men che meno sulla seconda), senza colpi così definitivi, senza un asso nella manica, ma con la capacità di erigere un vero e proprio muro al di là del net. Soprattutto per certi rivali, come quello delle semifinali nel Masters 1000 canadese, Alejando Davidovich Fokina, talento di tennis e potenza, il giocatore più imprevedibile del momento, capace di fare e disfare tutto da solo, da campione imperfetto, affascinante e amabile, ma anche terribilmente autolesionistico. C’era molto vento, d’accordo, anche troppo per la povera pallina gialla.

E sicuramente un nativo di Sydney è più allenato a quelle condizioni così difficili, ma quello che è fondamentale è l’input che De Minaur si è dato per dettare il 6-1 6-3: ”La prima cosa che ho capito una volta sceso in campo è che non sarebbe stato bello, quindi non mi aspettavo un tennis perfetto da parte mia".

Mi sono detto: “Resta positivo, continua a lottare qualunque cosa accada e non sai mai cosa succederà. Sono fiero della mia grande mentalità: non ho giocato il mio tennis migliore, ma ho fatto quello che doveva essere fatto in queste condizioni”. Semplice, ma estremamente difficile e sinonimo di una forza d’animo ben nota ai colleghi.

Il rovescio di Alex De Minaur (foto Getty Images)

BANDIERA
De Minaur è il simbolo delle racchette australiane, meno appariscente e appassionante delle cicale Kyrgios e Kokkinakis, è la rappresentazione del professionista ideale dell’ATP Tour che merita rispetto ed incute timore perché sai che non si batterà da solo e darà tutto quello che ha in campo. Perché si allena duro, accetta sempre e in fretta la sconfitta e si rimette con la testa sotto al lavoro, in campo come in palestra, per migliorarsi sempre. E, pur senza eccellere veramente nei grandi tornei come gli eroi della patria, continua a riscrivere la storia, da primo australiano a presentarsi in finale al Masters 1000 canadese in 22anni, dopo Pat Rafter che nel 2001 perse con Andrei Pavel (ma aveva trionfato nel 1998). Lui che, fino a questa settimana, nei Super9 non era mai arrivato ai quarti.

Lui che, quest’anno, dopo aver vinto a marzo Acapulco (battendo Paul), è tornato ad accendersi solo a giugno, sull’erba del Queen’s, dov’ha infilato Murray, Mannarino e Rune (arrendendosi ad Alcaraz) e poi eliminato da Berrettini a Wimbledon, quindi a Los Cabos ha perso in finale con Tsitsipas presentandosi talmente in forma a Toronto da mettere in fila Norrie (13 del mondo), Fritz (9), Medvedev (4) e quindi Fokina, che è 38 di nome ma molto meglio di fatto. Firmando il decimo match su 12 nella campagna sul cemento nordamericano dopo i Championships, sulla superficie ideale, che gli ha fatto toccare l’acme negli Slam coi quarti agli US Open 2020

GUERRIERO
Alla quarta finale stagionale, Alex ha firmato 7 titoli ATP e, da numero 18, è già sicuro di aver raggiunto questo lunedì la classifica-record al 12. “Ho passato una settimana d'inferno. Questa è la svolta che ho sempre saputo di avere dentro di me, quindi è fantastico mostrarlo e giocare per una finale”, si è auto-caricato, senza giri di parole, motivatissimo dall’ennesima coccarda che vorrebbe tanto appuntarsi sul petto: l’ultimo australiano ad aggiudicarsi un Masters 1000 è stato 20 anni fa il suo idolo, Hewitt, a Indian Wells 2003. 

Anche se la montagna da scalare apparirebbe difficile per tutti, il numero 8 della classifica, Jannik Sinner. Ancor di più per “Il Diavolo” che l’affronta ancora contro pronostico, partendo anche dallo 0-4 nei testa a testa.

Il primo, sotto il traguardo delle Next Gen di Milano 2019, è forse il più impressionante: l’australiano, di 3 anni e 6 mesi più anziano, finalista uscente e grande favorito, fu spazzato via dal tornado rosso, 18enne e semi-sconosciuto, sempre su una superficie molto rapida.


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